Chi aveva ipotizzato una programmazione della Politica Agricola Comune (Pac) sostanzialmente immutabile fino al 2027 è stato smentito. E il merito, va detto, va agli agricoltori. Non tutti, ma a quelli che hanno alzato la voce, protestato, gridato e manifestato in diversi Paesi europei, con una matrice comune nelle richieste: troppi vincoli, troppe regole, troppa burocrazia, troppi costi, troppa volatilità di mercato, troppa miopìa nel delineare un futuro verde.

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La Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen oggi in bilico per un secondo mandato - che appare improbabile, stante la contrarietà di Francia e Germania, che come sempre dettano l'agenda e fanno il bello e il cattivo tempo in Europa - non aveva sbagliato le linee guida per un futuro più verde.

 

Assolutamente legittimo il monito a ridurre gli impatti ambientali, a salvaguardare il suolo, i terreni, l'acqua, l'aria e produrre in maniera più sostenibile. Quello che era completamente fuori fuoco erano le tempistiche, la pervicacia a colpire l'impresa, fosse essa quella agricola o quella industriale. Perché, a dirla tutta, l'Unione Europea non ha messo nel mirino con il Green Deal solamente l'agricoltura (con la strategia Farm to Fork), ma ha spinto eccessivamente l'acceleratore per affossare l'industria dell'automobile (un affare per nulla secondario nel vecchio continente, soprattutto con l'avanzata ultracompetitiva della Cina nell'elettrico), colpire in casa propria e non avviare un dialogo vero con visioni a lungo termine e rispetto reciproco su scala globale. In pratica: India, Cina, Stati Uniti, Brasile producano come vogliono e inquinino quanto vogliono, noi europei dimostreremo di essere più bravi. Non è così. Non funziona, si perde solo terreno.

 

Modifiche alla Pac 2023-2027

Torniamo all'agricoltura. Proteste di piazza, pressioni sulla politica e sulle istituzioni, scenario geopolitico internazionale gravato da più fattori negativi concomitanti (la guerra in Ucraina, i pirati alle porte di Suez, i mercati instabili, la Cina in crisi economica, eppure con legami molto solidi in diverse aree del pianeta, dall'Africa all'America Latina), e - soprattutto - elezioni europee in vista, hanno spinto la Commissione Europea prima e il Consiglio agricolo Ue riunitosi in Comitato Speciale Agricoltura ad approvare con procedura d'urgenza alcune modifiche alla Politica Agricola Comune 2023-2027. Ne ha parlato con la consueta precisione Dario Del Bene, per cui rimandiamo al suo articolo tutti gli approfondimenti del caso.

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Qualche valutazione, tuttavia, ce la lasciamo scappare.

 

La prima: benissimo l'adozione di una procedura d'urgenza, utile per dare risposte tempestive. Alla faccia di chi diceva che una revisione a medio termine della Pac sarebbe stata impossibile per questioni di tempo. Siamo consapevoli che quanto stabilito dal Consiglio agricolo Ue e che dovrà essere approvato dal Parlamento Europeo alla fine di questo mese non costituisce una riforma completa della Pac, ma avrà comunque nell'arco di due anni (2024 e 2025) un impatto sull'attività degli 8,9 milioni di aziende agricole europee.

 

Viene automatico chiedersi, però: se è possibile adottare iter decisionali particolarmente spediti, perché mai non adottare la modalità rapida (id est: procedura d'urgenza) per tutte quelle materie che hanno un sensibile impatto sulla vita dei cittadini dell'Ue, come appunto la politica del cibo?

 

Altro punto. Le decisioni adottate a livello europeo permettono di modificare i Piani Strategici della Pac due volte l'anno, assicurando così una più ampia flessibilità. È una vittoria per le aziende agricole, in particolare in uno scenario complesso, dove i cambiamenti climatici, l'avvento di nuove patologie (pensiamo al successo che stanno avendo le vaccinazioni in Francia contro l'aviaria come elemento positivo e alla trasmissione da specie a specie negli Usa con l'aviaria trasmessa dai polli alle vacche da latte), l'instabilità dei mercati impongono una grande velocità di adattamento.

 

Il presidente di turno del Consiglio dei ministri agricoli dell'Ue, il belga David Clarinval, ha assicurato che l'ambizione ambientale non viene meno. Gli crediamo, anche se - parere strettamente personale - alcune concessioni agli agricoltori "arrabbiati" potrebbero forse spingere qualcuno a cadere in antiche furbizie.

 

È il caso delle esenzioni dei controlli e delle sanzioni per le aziende agricole con meno di 10 ettari. È vero che spesso gli agricoltori sono vessati da carte e controlli, ma eliminare completamente qualsiasi forma di verifica potrebbe scatenare in alcuni casi un lassismo pericoloso. La domanda che ci poniamo è la seguente: a fronte di minori oneri burocratici, i soggetti intermediari incaricati di espletare le funzioni di coordinamento, ridurranno le loro tariffe? O per gli agricoltori sarà il solito volume di spesa? Perché la semplificazione funziona anche se è accompagnata da un minore esborso economico, oltre che di tempo.
In ogni caso, l'ultimo Consiglio agricolo invita a guardare il bicchiere mezzo pieno. Sarà utile anche per cominciare a programmare il futuro della Pac dopo il 2027.