L'agrumicoltura biologica siciliana è cresciuta del 9,8% in un anno. Lo dicono gli ultimi dati aggiornati presentati nel corso del seminario "Stato dell'arte dell'agrumicoltura biologica siciliana e i fabbisogni di ricerca e sperimentazione", ospitato il 31 gennaio 2017 nella sede del Crea (Centro di ricerca per agrumicoltura e colture mediterranee) ad Acireale (Ct).
Il seminario è il settimo degli otto previsti nell'ambito del progetto "Social farming, agricoltura sociale per la filiera agrumicola siciliana" promosso dal Distretto agrumi di Sicilia e Alta scuola Arces con il contributo non condizionato di The Coca-Cola foundation.
 
Superfici coltivate in aumento
Agrumicoltura biologica in crescita, dunque, secondo gli ultimi dati disponibili relativi al 2015, elaborati e illustrati dal ricercatore Giovanni Dara Guccione del Crea Pb di Palermo.
"Rispetto all'anno precedente, la superficie coltivata ad agrumi biologici è passata da 17.411 ettari a 19.124 facendo segnare una variazione positiva del 9,8% - spiega Dara Guccione - un dato che conferma una crescita costante nel tempo, almeno sin dal 2011 quando la superficie coltivata ad agrumi biologici era di 10.778 ettari. In pochi anni, quindi, le superfici agrumicole coltivate a biologico sono in pratica raddoppiate".
 
Sicilia, regione più "bio" 
I numeri evidenziano che la Sicilia è indubbiamente la regione d'Italia che produce più agrumi (circa il 60% della produzione nazionale) e al contempo anche la regione con maggiore estensione di superficie a coltivazione biologica di agrumi, seguita dalla Calabria con circa la metà di superfici votate all'agrumicoltura bio.
Le aziende agrumicole biologiche in Sicilia sono ben 1.859, con una concentrazione più elevata nelle province di Siracusa (771), Catania (365 aziende), Messina (227) e Agrigento (140).
 
Biologico in gran parte esportato
E se a fare la parte del leone fra gli agrumi bio sono le arance, seguite dai limoni, il seminario fa chiarezza anche sulla destinazione della produzione. Gli agrumi biologici vengono per lo più esportati verso i mercati europei: il 70% della produzione è venduta all'estero, il 10% è destinato alla trasformazione, il restante 20% viene commercializzato in Italia come prodotto fresco, per metà nella Gdo e per metà in mercatini e gruppi di acquisto solidali sui quali l'impatto del biologico è molto forte.
Non è la stessa cosa per la produzione convenzionale che per il 20% viene trasformata, per il 5% esportata e per il 75% commercializzata come prodotto fresco prevalentemente nella Gdo.
 
Dove migliorare
Tutto rose e fiori? Non proprio. Dara Guccione evidenzia anche i punti di debolezza del comparto, tra polverizzazione del tessuto produttivo e insufficiente aggregazione dell'offerta, forte competizione internazionale, un calendario di commercializzazione troppo breve per prodotti come mandarini e clementine. Almeno per quanto riguarda la fase agricola.

L'industria di trasformazione sconta invece un'assenza di programmazione nell'approvvigionamento delle materie prime e uno squilibrio tra produzione di semilavorati e prodotto finito. Mentre sulla filiera si paga una scarsa propensione all'associazionismo, un eccessivo potere della Gdo che non valorizza il biologico e anche una inefficiente comunicazione delle caratteristiche qualitative delle produzioni bio, a loro volta uno dei punti di forza su cui si dovrebbe puntare insieme con la qualità elevata delle nostre produzioni.
 
L'agrumicoltura biologica esprime una domanda di innovazione
L'agrumicoltura biologica siciliana ha bisogno di puntare su innovazione, cooperazione e diversificazione. Insieme con la capacità di combattere con adeguate tecniche fitosanitarie gli agenti patogeni.
Argomento approfondito dall'agronomo di Agrinova bio e consigliere del Distretto agrumi di Sicilia Francesco Ancona"Oggi c'è necessità di un'assistenza pubblica, che manca. Servono anche ricerca e sperimentazioni con formule partecipative da parte di tutti gli attori della filiera. E poi bollettini fitosanitari periodici della regione anche per i produttori biologici, così come occorre sviluppare e potenziare la biofabbrica di Ramacca".

Insomma, bisogna fare di più perché "la Sicilia è la prima regione produttrice di biologico" aggiunge Ancona.
"Non si tratta più di una nicchia di mercato, ma di un vero e proprio segmento. Questo seminario dimostra l'impegno del Distretto su questo fronte. Il biologico può costituire una ulteriore qualificazione delle produzioni della filiera e in particolare di quelle a marchio Dop e Igp, nelle quali negli ultimi tre anni è molto cresciuto il biologico rafforzandone la qualità e la forza di penetrazione sui mercati".