E' possibile potenziare il processo di fotosintesi delle piante in modo da avere raccolti più abbondanti? La risposta sembra essere affermativa visto che un gruppo di ricercatori dell'Università di Berkeley e dell'Università dell'Illinois ha pubblicato un articolo su Science in cui hanno dimostrato di essere riusciti a migliorare il modo in cui i vegetali trasformano l'energia del sole in nutrimento.
Nei campi sperimentali il team di ricercatori ha osservato un aumento dell'efficienza fotosintetica e della biomassa prodotta del 15%.

A cosa è dovuta questa crescita miracolosa? Il segreto va ricercato in un meccanismo di protezione che le piante mettono in atto per gestire una illuminazione eccessiva. I vegetali infatti adattano il proprio metabolismo alle condizioni di luce ambientali. Quando i raggi del sole sono troppo intensi e rischiano di danneggiare le foglie l'energia in eccesso viene dissipata sotto forma di calore, mentre quando la luce è meno intensa viene sfruttata interamente.

Il problema si ha quando le condizioni di luce cambiano velocemente, ad esempio al passaggio di una nuvola o quando foglie ad altezze maggiori ombreggiano quelle sottostanti. Il sistema fotosintetico si adatta lentamente e dunque non riesce a sfruttare tutta la luce che riceve. Una foglia colpita in pieno dal sole dissipa energia, ma quando viene coperta da una nuvola impiega alcuni minuti per adattarsi. Gli studi condotti imputano a questa lentezza un 20% di perdita di raccolto.

L'innovazione del team guidato dai professori Johannes Kromdijk e Stephen Lond, dell'Università dell'Illinois, è stata quella di velocizzare l'adattamento della pianta intervenendo a livello genetico.
Delle piante di tabacco sono state infatti modificate per rispondere prontamente ai cambiamenti di luce e i risultati sono stati sorprendenti. Le piante hanno prodotto il 15% in più di biomassa nelle prove in campo rispetto alle tesi di controllo.

Dato che la fotosintesi è un processo comune a tutte le piante i ricercatori sono convinti di poter replicare questi risultati anche su altre colture. "Abbiamo usato il tabacco perché è facile da gestire dal punto di vista genetico", ha spiegato Kromdijk. "Ma il nostro obiettivo è quello di applicare questa innovazione alle colture utilizzate per sfamare l'umanità: riso, grano, soia, mais, manioca e così via".
Lo studio è stato infatti finanziato dalla Bill and Melinda Gates foundation che da anni si batte per l'eradicazione della povertà in Africa anche attraverso l'innovazione genetica delle piante.

La ricerca statunitense può così dare il suo contributo alla soluzione dell'annoso problema di sfamare una popolazione mondiale in costante crescita in maniera sostenibile per l'ambiente. Piante più efficienti possono produrre di più per unità di superficie e quindi rendere il terreno più produttivo.

Ci sono però una serie di ostacoli da superare per vedere questa innovazione in campo. Prima di tutto scientifici: prima di avere nelle aziende agricole sementi in grado di adattarsi in maniera celere alle mutevoli condizioni di illuminazione serviranno nuove ricerche e prove in campo, con tempi lunghi che alcuni stimano in almeno 15 anni. Non tutte le piante infatti potrebbero rispondere allo stesso modo.
Inoltre le condizioni ambientali, come la temperatura, hanno una influenza fondamentale sul metabolismo di un vegetale.

Ci sono poi ostacoli di carattere legislativo. Se negli Stati Uniti gli organismi geneticamente modificati possono essere utilizzati in campo dopo le dovute sperimentazioni, l'Europa è, a torto o ragione, molto più chiusa rispetto a questo tipo di tecnologia. Le piante di tabacco sono state manipolate con l'introduzione di alcuni geni modificati provenienti da un'altra pianta, Arabidopsis thaliana.

Bisogna però sottolineare come in linea di principio non sia necessario mischiare il patrimonio genetico di due specie, come Nicotina e Arabidopsis, che danno inevitabilmente vita ad un organismo transgenico. I ricercatori potrebbero usare tecniche come il Crispr o il genome editing per modificare i geni senza l'introduzione di materiale estraneo alla specie.
Dunque su questo fronte uno spiraglio si potrebbe presto aprire.

C'è infine la questione della sostenibilità. I ricercatori dovranno infatti studiare quanto all'incremento di biomassa prodotta corrisponda un aumento delle necessità nutritive della pianta. Produrre di più significa dover fornire più acqua e fertilizzanti, con inevitabili ricadute economiche e ambientali.  


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