L'ignoranza (in senso latino, non si fraintenda) degli eurodeputati ha colpito ancora. Fermi alla definizione di "industriale" che a volte sostituisce quella di intensivo per catalogare una tipologia di allevamento, hanno creduto che fra un'acciaieria e un allevamento di polli non ci sia poi una gran differenza.

E dovendo decidere su temi ambientali, dopo aver "graziato" le case e l'inquinamento da esse prodotto, hanno pensato bene di riequilibrare i conti calcando la mano sugli "allevamenti industriali".

 

Mai termine fu usato così impropriamente, ma lo ereditiamo dagli anni 50, agli albori della moderna zootecnia, quando "industria" significava sviluppo e "contadino" sembrava (accade ancora oggi) un termine spregiativo.

Oggi avviene il contrario e poco conta che la scienza abbia dimostrato il modesto impatto ambientale degli allevamenti protetti (questo il termine da usare al posto di intensivo).

Queste cose gli eurodeputati (non tutti a dire il vero) non le sanno e si lasciano convincere dal furore di un ambientalismo da salotto che confonde la verità con l'ideologia.

 

Il voto

Così, riuniti a Strasburgo in plenaria, gli eurodeputati chiamati a decidere sui temi ambientali hanno alleggerito i vincoli sulle abitazioni, ma hanno stretto gli obblighi sugli allevamenti di suini e di polli.

Con 393 voti a favore, 173 contrari e 49 astenuti, si è deciso di assoggettare alla nuova Direttiva Emissioni Ambientali anche gli allevamenti di modeste dimensioni.

Dovranno assolvere gli impegni burocratici previsti dalla riforma della "Direttiva Ambientale" le aziende con più di 350 Uba (Unità Bestiame Adulto) di suini o con oltre 280 Uba di polli o più di 300 ovaiole.

Per capire la portata di questa decisione, ricordiamo che 350 Uba di suini equivalgono ad appena 140 capi e che un allevamento avicolo con 280 Uba si traduce in una modesta azienda con poco più di 22mila polli.

In pratica la quasi totalità degli allevamenti avicoli e almeno il 20% di quelli suinicoli.

In precedenza i limiti erano assai più elevati, circa 40mila capi avicoli e circa 500 suini da macello.

 

Il caso dei bovini

E gli allevamenti di bovini? Quelli erano già stati esclusi, ma solo per il momento, come già AgroNotizie® ha anticipato.

Un risultato raggiunto grazie all'impegno di pochi europarlamentari (fra questi Paolo De Castro) che forti delle risultanze della scienza avevano ricordato ai loro colleghi che l'impatto ambientale dell'allevamento bovino può essere a risultato zero.

Polli e suini erano però già compresi nelle regole della "Direttiva Emissioni" e tutto lasciava presumere che i parametri in vigore per questi allevamenti sarebbe rimasto immutato.

 

Così non è stato e le conseguenze potrebbero essere pesanti, a volte insuperabili per alcune aziende.

Non ne gioiscano i "nemici" degli allevamenti protetti. Un allevamento che chiude può rappresentare un danno per l'ambiente.

Si pensi soprattutto agli ambienti marginali, dove l'assenza dell'uomo coincide con il degrado di pascoli e boschi.

 

Scelta controproducente

Se la decisione non sarà ribaltata in sede di Consiglio, ultimo passaggio prima di rendere operative le nuove norme, si rischia di ottenere un effetto contrario rispetto a quello atteso dagli eurodeputati.

Gli allevamenti più strutturati e più grandi, che già assolvevano gli impegni previsti dalla "Direttiva Emissioni", non avranno alcun problema nel rispettare l'aggiornamento delle norme.

Gli allevamenti più piccoli dovranno affrontare nuovi e più impegnativi oneri di documentazione e di adeguamento e i loro margini, già ridotti all'osso, saranno ulteriormente erosi.

 

Facile ipotizzare la chiusura per molti di questi. Il loro posto, si dirà, sarà preso dagli allevamenti più strutturati, che aumenteranno le loro dimensioni.

Ma soprattutto aumenteranno le importazioni, magari da Paesi terzi che di ambiente, qualità e sicurezza alimentare si fanno beffe.

 

Le reazioni

Inevitabile la levata di scudi che da ogni dove si è levata per condannare la scelta degli eurodeputati, catalogata fra le tante altre eurofollie.

Così Cia definisce la vicenda come una "forte penalizzazione" per gli allevamenti e "irragionevole equiparare zootecnia e industrie".

Secondo il sottosegretario all'Agricoltura Luigi D'Eramo "si continua a scegliere l'ideologia invece del buonsenso".

"Impossibile scendere a patti con l'ambientalismo ideologico", questo il giudizio del vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio.

"Le aziende non possono più sopportare imposizioni burocratiche, follie e fenomeni che mettono a rischio il loro reddito" si legge in una nota del presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.

Inascoltato l'appello di Cristina Tinelli, di Confagricoltura, che ancor prima che il Parlamento si esprimesse aveva chiesto che il settore agricolo e dell'allevamento non fosse considerato nel novero delle industrie.

 

Cosa accadrà

Ora che la revisione della Direttiva sulle Emissioni Industriali ha ottenuto il via libera del Parlamento Europeo, bisogna attendere l'approvazione da parte del Consiglio Europeo per rendere operativa la norma.

 

Saranno ascoltate le ragioni degli allevamenti? La partita è solo virtualmente aperta, ma l'esito sembra già scontato.

L'approssimarsi del voto europeo non gioca a favore. In termini di voti è facile intuire lo scarso peso, in termini puramente numerici, di agricoltori e allevatori.

Non per nulla per far valere le loro ragioni hanno dovuto muovere migliaia di trattori per le strade di mezza Europa. E non è bastato.

Tanto che a conclusione del voto il relatore Radan Kanev, ha dichiarato fra l'altro: "Il voto sottolinea che i deputati capiscono le ragioni delle proteste degli agricoltori".

Ogni ulteriore commento appare superfluo.

 

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