La peste suina africana è arrivata in provincia di Parma, nel comune di Tornolo, dove la sezione di Parma dell'Istituto Zooprofilattico Ubertini ha confermato la presenza del virus nella carcassa di un cinghiale.

Non stupisce questo ritrovamento. In assenza di un severo contenimento della popolazione di selvatici l'espandersi del virus era solo una questione di tempo.

 

Ma ora il virus, che da Liguria e Piemonte ha raggiunto anche la Lombardia e poi l'Emilia Romagna, con un caso nel piacentino nel novembre scorso (si veda AgroNotizie®), sta assediando una delle aree dove la suinicoltura ha un'importanza economica e sociale enorme.

Già ora si rischia un rallentamento, ma se la malattia riuscisse a superare le barriere sanitarie di un allevamento, sarebbe una catastrofe.

Intanto le autorità sanitarie dell'Unione Europea hanno incluso i comuni di Tornolo e Bedonia nelle aree soggette a restrizioni, come si legge sulla Gazzetta Europea del 26 gennaio 2024.

 

Prosciutto a rischio

Qualche numero per comprendere quanto stiamo rischiando. Nell'area di produzione del Prosciutto di Parma Dop, si contano 3.600 allevamenti e 84 macelli e gli addetti nell'intera filiera sono circa 50mila.

Facile immaginare le conseguenze sociali che potrebbero derivare anche da una semplice contrazione dei volumi di produzione.

 

Non da meno il valore economico. Il giro di affari complessivo che ruota attorno al Prosciutto di Parma è valutato in 1,6 miliardi di euro e una quota rilevante è riservata alle esportazioni, che hanno un fatturato di 290 milioni di euro.

Queste saranno le prime a subire un rallentamento se non un blocco totale. E a questi numeri vanno aggiunti quelli della filiera del prosciutto generico e della carne suina in genere, che fanno salire il fatturato del settore a circa 5 miliardi di euro.

 

Misure draconiane

Per fronteggiare l'emergenza peste suina africana si sono succeduti due commissari straordinari, prima Angelo Ferrari e ora Vincenzo Caputo, dello Zooprofilattico dell'Umbria e delle Marche.

Quest'ultimo ha recentemente dichiarato che l'emergenza è destinata a durare a lungo e c'è da credergli tenuto conto di quanto sia stata lunga la battaglia condotta in Sardegna per sconfiggere il virus.

 

Ma dalla Sardegna, che ora può vantare di aver vinto la battaglia, si possono avere importanti insegnamenti.

Come già AgroNotizie® ha potuto descrivere, solo un severo contenimento del numero di animali fuori controllo, domestici e selvatici, ha consentito di dare una svolta ai piani di eradicazione. Accompagnati, come necessario, da un'altrettanto severa adozione di tutte le misure di biosicurezza.

 

Sensibilità animalista

C'è allora da interrogarsi se le misure di contenimento dei selvatici previste dal commissario siano sufficienti o se sia necessaria un'azione più incisiva.

Forse sino ad oggi si è prestata troppa attenzione a una eccessiva sensibilità animalista, peraltro superata dalla gravità della malattia, fonte di gravi sofferenze per gli animali colpiti.

Contenere il numero di selvatici è quanto chiedono poi alcune organizzazioni degli allevatori, come Assosuini. Analoga richiesta è giunta da Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato e già ministro dell'Agricoltura.

 

Anzitutto prevenire

Contenere il numero di cinghiali è importante, purché accompagnato da altre misure, prima fra tutte un innalzamento delle misure di biosicurezza negli allevamenti.

Quarantena agli animali di nuovo ingresso, stop agli estranei e se necessario prevedere disinfezioni e protezioni usa e getta.

Anche i veicoli è bene stiano lontani dalle aree di allevamento, o nel caso prevedere disinfezione delle ruote. Questi solo alcuni dei principali accorgimenti.

Il virus, come più volte ricordato su AgroNotizie®, è dotato di grande resistenza nell'ambiente esterno e può essere veicolato in molti modi.

 

Le responsabilità dell'uomo

Anche l'uomo, che pure non è colpito in alcun modo dalla malattia, può essere un inconsapevole veicolo del virus.

In questi giorni si è appreso che l'ingresso della peste suina africana in Italia è avvenuta con l'introduzione di alimenti di importazione contaminati dal virus e probabilmente abbandonati nell'ambiente.

I primi casi della malattia segnalati in Liguria, dove è presente il porto di Genova con la sua intensa attività di scambi commerciali con l'estero, potrebbero riconoscere proprio questa causa.

 

Senso civico

La collaborazione di tutti può dunque aiutare a sconfiggere questa malattia dei suidi, che non lascia scampo agli animali colpiti.

La Regione Emilia Romagna ha messo a disposizione un numero telefonico (051-6092124) al quale segnalare gli eventuali casi di rinvenimento di carcasse di cinghiali.

Poi un invito a tutti a evitare comportamenti incivili, come l'abbandono di scarti alimentari nell'ambiente.

Ma ogni sforzo rischia di essere vano se non sarà accompagnato da una riduzione dei cinghiali, che sono il principale serbatoio del virus. Che prima o poi, è solo questione di tempo, potrebbe entrare in un allevamento di suini. Sarebbe l'inizio di una catastrofe incontrollabile.

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