C'è di che preoccuparsi per il futuro degli allevamenti italiani. Lo dicono i numeri, puntuali, dell'Anagrafe Zootecnica che dettagliano la continua e inesorabile contrazione sia del numero di aziende in attività, sia del numero di animali presenti.

Prendiamo il caso degli allevamenti di bovini. Dal 2010 al 2023 hanno chiuso i battenti circa 68mila allevamenti.

Un'emorragia continua, compensata, si dirà, dal contemporaneo aumento del numero di capi presenti negli allevamenti "superstiti". Ma così non è.

Anche il patrimonio bovino è andato assottigliandosi e oggi si registrano circa di 263mila capi in meno rispetto al 2010.

 

Ciò che più preoccupa è l'accelerazione che negli ultimi tre anni si è verificata nella contrazione del numero di bovini allevati.

Nel decennio 2010-2020 si sono persi ogni anno più di 14mila capi, negli ultimi tre anni questa cifra si è quasi triplicata.

Segno inequivocabile di una sofferenza della nostra zootecnia che prosegue da tempo e che ora si sta aggravando, sospinta da una congiuntura economica sempre più complicata.

 

Evoluzione allevamenti bovini

 

Meno suini

Non è dissimile la situazione del comparto suinicolo, sebbene con connotati diversi. Mentre dal 2011 in poi si è assistito a un aumento del numero di allevamenti in attività, negli ultimi anni la tendenza si è invertita.

Dal 2020 a oggi hanno chiuso i battenti circa 35mila aziende suinicole e la stessa sorte è toccata al patrimonio animale.

In tre anni l'Anagrafe Suina Nazionale registra la perdita di oltre 500mila capi su un totale di poco più di otto milioni.

 

Dovesse continuare questa tendenza con analoga intensità, nei prossimi anni potrebbe essere a rischio la filiera dei prodotti a denominazione di origine, ai quali verrebbe a mancare la materia prima per la trasformazione.

Uno scenario che nemmeno la lunga stagione di prezzi in aumento dei suini che si è protratta per gran parte del 2023 sembra in grado di scongiurare, tanto più che il 2024 si è aperto con prezzi all'origine in calo

 

Evoluzione allevamenti suini

La stabilità degli avicoli

Unico settore che può vantare una sostanziale stabilità è quello avicolo, dove il numero di allevamenti è aumentato, mantenendo però costante il numero di capi in produzione.

Il contrario di quanto è avvenuto negli altri segmenti delle produzioni animali e che trova spiegazione nella peculiare struttura di questa filiera.

Forte di un collaudato sistema di organizzazione fra fornitori di mezzi di produzione, allevamenti e imprese di trasformazione (per lo più seguendo linee di integrazione verticale), la produzione avicola riesce a rispondere con relativa velocità ai mutamenti della domanda.

 

Pur con inevitabili oscillazioni di mercato e facendo fronte a ricorrenti emergenze sanitarie, in gran parte connesse agli episodi di influenza aviaria, il settore gode di una stabilità sconosciuta alle altre filiere zootecniche.

L'aumento del numero di allevamenti a fronte di una riduzione del numero di animali, è poi la risposta al benessere animale che si traduce in una maggiore esigenza di spazio per introdurre gabbie arricchite o sistemi di allevamento a terra.

 

Evoluzione allevamenti avicoli


Il "segreto" degli avicoli

La relativa "tenuta" del settore avicolo evidenzia la distanza dagli altri segmenti della filiera zootecnica, dalla carne bovina e suina al latte e dunque ai formaggi, cui è destinata la maggior parte della produzione.

Si è tentato di riprodurre il sistema di integrazione verticale al di fuori del segmento avicolo, ma con scarsi risultati. Troppe le differenze, che hanno nella brevità del ciclo produttivo avicolo uno dei punti di forza che è impossibile replicare.

Ma una soluzione va cercata, tanto più che il modello avicolo non è comunque esente da difetti e vulnerabilità.

Il percorso è tuttavia impegnativo, perché richiede il superamento di steccati ritenuti in molti casi invalicabili.


Alleanze cercansi

Una visione e un progetto condiviso fra allevamento, trasformazione e fornitori di mezzi di produzione è condizione indispensabile per invertire una rotta che porta altrimenti ad altre chiusure e ad altri fallimenti. Sapendo che non sempre sarà possibile coinvolgere la distribuzione, dove prevale la ricerca del prezzo rispetto alla qualità.

Su questa strada si contano esempi importanti. Recente l'accordo fra Assalzoo, Assocarni e Italmopa, del quale AgroNotizie® ha già parlato, ma dove è assente la componente allevatoriale.

 

Poi le numerose Op, Organizzazioni dei Produttori, e le Oi, Organizzazioni Interprofessionali, che già sono attive. Ma non sempre incisive quanto sarebbe necessario.

In altre parole, occorre un nuovo modello di produzione zootecnica dove allevatori, macellatori, trasformatori e stagionatori siano in grado di lavorare a un progetto comune. Senza il quale si apre un futuro di incertezze.