Forse alla fine il virus della peste suina africana è riuscito a “bucare” le difese e a entrare in un allevamento di suini.
Lo avrebbe fatto a Roma, in un piccolo allevamento, infettando due animali. Sebbene la notizia abbia suscitato molto clamore, non se ne ha conferma ad oggi (13 giugno 2022) da parte né dello Zooprofilattico del Lazio, né dello Zooprofilattico dell'Umbria, che ospita il Centro di referenza nazionale per questa patologia e nemmeno dal ministero della Salute.

Ma non c'è bisogno di una conferma ufficiale per ribadire una volta di più l'importanza di contenere la diffusione dei cinghiali, che di questo virus sono un serbatoio naturale.
Nessun pericolo per l'uomo, è necessario ricordarlo, ma un dramma per gli allevamenti di suini vista l'impossibilità di ogni cura e l'alta mortalità che ne consegue, come più volte AgroNotizie ha ricordato.


Le conseguenze 

Ora l'allevamento di suini che avrebbe subìto l'aggressione del virus sarà costretto all'abbattimento di tutti gli animali, anche quelli sani.
Un danno che si estende a tutti gli allevamenti dell'area infetta (la zona rossa, come è stata ribattezzata) dove ogni attività di allevamento dei suini è compromessa per l'impossibilità di far entrare o uscire qualunque cosa che abbia connessione con gli allevamenti.
Come in Liguria e Piemonte, dove i casi di peste suina africana nei cinghiali sono ora 144 (90 in Piemonte e 54 in Liguria), anche nel Lazio si contano i danni per il settore suinicolo, dove si stima la presenza di 50mila suini.


A rischio c'è però l'intero settore della suinicoltura italiana, che vanta la presenza di 30mila allevamenti dove si allevano nove milioni di capi.
Le rappresentanze degli agricoltori, Coldiretti fra queste, invocano rapidi indennizzi, e insieme a Confagricoltura premono per una più efficace campagna di contenimento della popolazione di selvatici.
Se la si fosse già attuata, oggi probabilmente non sarebbe scattata questa emergenza e non si conterebbero danni stimati in 20 milioni di euro al mese.
Da parte di CIa l'appello a stanziare 50 milioni di euro (da aggiungere ai 25 già previsti, ma ancora fermi) per sostenere le aziende colpite.


Aumentano le preoccupazioni

Forte la preoccupazione delle Regioni a più forte vocazione suinicola.
Dall'Emilia Romagna l'assessore all'Agricoltura, Alessio Mammi, invoca il prolungamento delle attività venatorie per la caccia al cinghiale.
Non solo dove è più alta la contemporanea presenza di allevamenti e cinghiali, ma anche nelle zone dove sono denunciati gravi danni alle coltivazioni da parte dei selvatici.

 

Dalla Regione Umbria l'appello a rafforzare le misure di prevenzione in particolare negli allevamenti di suini all'aperto, prevedendo al contempo l'aumento delle quote di abbattimento dei cinghiali.
Dal Piemonte l'assessore alla Sanità, Luigi Genesio Icardi, lamenta come sforzi compiuti dalla sua Regione per evitare il contagio dei suini siano ora resi inutili da quanto accaduto nel Lazio e che potrebbe far scattare restrizioni al commercio su tutto il territorio nazionale.
Scende in campo anche Assocarni che per voce del suo presidente, Luigi Scordamaglia, rimarca la gravità di quanto accaduto perché certifica agli occhi del mondo un contenimento inadeguato della malattia, lasciando i cinghiali liberi di scorrazzare fra i rifiuti della capitale.


Valori in pericolo

L'eventuale conferma dei due casi nel Lazio di peste suina africana nei suini rischia infatti di far scattare ulteriori strette all'esportazione di prodotti a base di carne suina.
Già alcuni paesi, fra questi la Cina, avevano chiuso le loro frontiere e ora se ne potrebbero aggiungere altri, anche dell'area europea, con danni miliardari per l'intera filiera.
Il valore dell'export del settore suinicolo è valutato in 1,5 miliardi di euro, mentre il valore di tutta la filiera (dagli allevamenti alla trasformazione) sfiora gli 11 miliardi e per un fatturato complessivo che rappresenta il 5% dell'intera produzione agricola.
Uno scenario catastrofico, con forti ripercussioni anche sul piano sociale, che ripropone con forza la necessità di una più realistica politica di gestione della fauna selvatica.