Sono numeri da brivido quelli riportati da Ismea sull'andamento del mercato delle carni bovine. Rispetto ad un anno fa le quotazioni dei vitelloni oscillano fra il meno 6% degli incroci francesi al meno 37% della vacche a fine carriera. Un calo che non risparmia nemmeno le razze da carne di maggior pregio, come i vitelloni Charolaise (-5.9%, piazza di Montichiari) o il meno 3,7% sulla piazza di Forlì per la razza Romagnola. Non va meglio se il confronto lo si fa con il 2012. Anche due anni fa i prezzi erano ben più alti di oggi. Eppure il 2014 era iniziato con buoni auspici. Il prezzo medio dei vitelloni sfiorava fra gennaio e marzo i 2,4 euro al chilo, circa 10 centesimi più dell'anno precedente e ancora 10 centesimi più del 2012. Poi la discesa inarrestabile sino a inizio estate, quando il prezzo sembrava poter riprendere quota. Ma le speranze sono presto svanite con i continui ribassi di settembre. Rispetto a inizio anno, denunciano Italia Zootecnica e Unicarve per bocca del loro presidente, Fabiano Barbisan, gli allevatori di bovini Charolaise, per fare un esempio, perdono oltre 270 euro per ogni capo venduto al peso di 750 chili. Con gli attuali prezzi, sottolinea Barbisan, non si coprono nemmeno i costi di produzione, calcolati da Ismea ad una media di 2,69 euro al chilo, mentre le quotazioni di fine settembre sulla piazza di Modena si fermano ad appena 2,39 euro. In altre parole allevare bovini da carne significa perdere circa 225 euro per ogni capo prodotto. Ancor più grave la situazione se il confronto lo si fa con i prezzi medi rilevati da Ismea, che si fermano per i vitelloni ad appena 2,25 euro al chilo. Di fronte a queste cifre poco contano i sostegni della Pac.

L'irraggiungibile etichetta
E' una situazione insostenibile, ha denunciato ancora Barbisan chiedendo a gran voce che venga attuato in tempi rapidi il Piano carni nazionale, i cui pilastri sono i Sistemi di qualità zootecnia nazionale (SQN) e quelli regionali (SQR), strumenti essenziali per far riconoscere al consumatore la carne italiana. E a proposito di produzioni italiane ben venga la possibilità di apporre sulle carni un “Sigillo italiano” che offra la possibilità di distinguere fra prodotto importato e carni nazionali. Un tema, questo della etichettatura delle carni, che ricorre ad ogni caduta del mercato, per poi sfumare quando i mercati viaggiano con il vento a favore. Alti e bassi che favoriscono chi è contrario alle etichette trasparenti sull'origine, industrie di trasformazione in prima fila. Italia Zootecnica e Unicarve si battono da tempo per dare all'etichettatura volontaria lo spazio che merita. Ma l'obiettivo è difficile da raggiungere. Servirebbero vaste alleanze fra i protagonisti della filiera delle carni bovine che ambiscono a raggiungere questo stesso obiettivo. E' forse questo il vero nodo da sciogliere, ancor prima di quello sulle etichette. Mettere tutti d'accordo è cosa tutt'altro che semplice. Ma indispensabile.