Il faggio (Fagus sylvatica) è una specie della famiglia delle Fagaceae, alla quale appartengono anche i castani e le querce. È endemica in Europa, con due sottospecie distinte: Fagus sylvatica sylvatica o faggio occidentale e Fagus sylvatica orientalis, diffusa nei Paesi dell'Est fino alla Turchia. Si suppone che l'utilità di questa pianta per l'uomo - buona legna da ardere, da fare il carbone e per affumicare alimenti, faggine o faggiole per integrare la dieta in tempi di magra, principi medicinali - abbia giocato un ruolo nella sua diffusione paneuropea sin dal Neolitico.

 

Il faggio è una delle specie forestali più importanti a livello europeo e italiano: ad esempio, in Piemonte copre 135mila ettari, risultando così la specie più diffusa dopo il castagno. Forma estesi popolamenti puri nelle aree montane, dove per millenni ha fornito un contributo importante all'economia rurale, soprattutto come fonte di combustibile.

 

La modalità di gestione tradizionale era quella del "ceduo a sterzo" che prevedeva la coesistenza di polloni di diversa età sulla medesima ceppaia per garantirne la vitalità e mantenere un'adeguata copertura del suolo. Tale pratica si è persa gradualmente nel corso del Novecento, in parte per lo spopolamento della montagna e anche perché poco compatibile con l'uso della motosega, diffusa dagli Anni Sessanta del Ventesimo Secolo. La sostituzione della legna e del carbone con combustibili fossili comportò un drastico calo delle produzioni forestali, tanto che oggi la maggior parte delle faggete di origine cedua ha superato i cinquanta anni di età. Ed è proprio l'età del bosco il parametro della gestione sostenibile delle faggete: è stato rilevato sperimentalmente in più contesti geografici (1, 2 e progetto di ricerca FarmCO2Sink) che le ceppaie di faggio hanno una capacità pollonifera che tende a esaurirsi una volta superati i quaranta, cinquanta anni dal taglio precedente.

 

Per la maggior parte delle faggete italiane perciò non è più tecnicamente possibile riprendere il governo a ceduo, perché una ceduazione oltre il turno di quaranta anni innescherebbe un processo di degrado del bosco: entro i primi quindici anni la perdita di copertura e vitalità pollonifera favorirebbe la colonizzazione per parte di specie pioniere di poco interesse forestale, e sarebbero necessari almeno cinquanta anni per il naturale recupero della composizione originale.

 

La Foto 1 esemplifica i diversi scenari gestionali, mettendo in risalto quelli auspicabili e quelli indesiderabili. Malgrado la ceduazione oltre turno di ceppaie di faggio sia vietata in alcune regioni (quadro comparativo delle diverse normative riportato nell'1 già citato), purtroppo viene comunque praticata - forse più per ignoranza che altro - consentendo un importante raccolto (oltre 300 m3/ettaro), ma compromettendo la produttività futura del bosco e talvolta creando potenziali situazioni di dissesto idrogeologico.

 

Gli effetti delle diverse modalità di gestione dei cedui invecchiati in relazione alla sostenibilità e produttività del soprassuolo

Foto 1: Gli effetti delle diverse modalità di gestione dei cedui invecchiati in relazione alla sostenibilità e produttività del soprassuolo

(Fonte foto: 1 già citato).

Il termine "bandita", in piemontese bandia, individua i popolamenti, più spesso le singole stazioni, aventi una preminente funzione di protezione diretta dalla caduta di rocce, valanghe e frane. Tali formazioni sono state oggetto di una gestione conservativa rispetto ai popolamenti circostanti da cui risulta una connotazione particolare nell'ambito forestale piemontese.

 

L'ottimizzazione della gestione forestale descritta nella foto precedente risulta invece praticabile e anche remunerativa mediante interventi selvicolturali che assecondino l'evoluzione dei popolamenti verso la fustaia.

 

Il passaggio dal sistema ceduo a una selvicoltura basata sulla fustaia può portare ricadute positive sia dal punto di vista economico sia per le funzioni pubbliche.

Infatti, le faggete - a prescindere dal fatto che appartengano al demanio pubblico o a privati - presentano un'elevata multifunzionalità oltre la mera produzione di legna:

  • Produzione diretta di materia prima rinnovabile: combustibile (legna, carbone) e legname da segheria (mobili, pavimenti, torneria, imballaggi). La legna è molto apprezzata dai consumatori per l'utilizzo in forni da pizza, griglie e per affumicare prodotti alimentari. Il suo Pci (stagionatura all'aperto minore di un anno) è di 3,40 kWh/chilogrammo. Il legname da opera non è adatto per applicazioni all'esterno perché contiene molti composti amidacei e quindi risulta facilmente attaccabile da funghi e insetti. La densità del legame da segheria stagionato è di 720-750 chilogrammi/m3, con una resistenza di 57 N/mm2 a compressione e di 111 N/mm2 a flessione, quindi nella media rispetto ad altre essenze.

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  • Protezione del territorio (vincolo idrogeologico e protezione diretta): consolidamento del suolo e difesa da valanghe, cadute massi, scivolamenti superficiali, lave torrentizie. Poiché è una pianta sensibile all'inquinamento, in alcuni casi particolari può risultare un valido bioindicatore per il monitoraggio della qualità dell'aria.
  • Conservazione della biodiversità: le faggete sono riconosciute come habitat di interesse comunitario e di specie d'interesse.
  • Protezione del clima: produzione di ossigeno e stoccaggio di carbonio. Una faggeta matura (alberi fra ventiquattro e trentacinque anni) è in grado di accumulare 1,6-1,8 tonnellate SS/ettaro.anno di biomassa ipogea, equivalente all'incirca a 2,6-3,3 tonnellate di CO2/ ettaro.anno (3) più 9,6 tonnellate SS/ettaro.anno di biomassa epigea, equivalente a circa 17,6 tonnellate di CO2/ettaro.anno (4), con un limite di biomassa accumulata ancora da determinare, probabilmente attorno ai cinquanta anni. La coltivazione del faggio su lunghi turni, con applicazione del "principio a cascata" per la legna ricavata a fine turno, potrebbe essere dunque una valida strategia di carbon farming.

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  • Salvaguardia del paesaggio: soddisfazione dei fruitori.
  • Opportunità turistico ricreativa e didattica: produzione di funghi porcini (le specie B. reticulatus, B. pinophilus, B. edulis, B. aereus), tartufi e piccoli frutti; habitat per la fauna selvatica di interesse venatorio; ambiente adatto a escursioni e didattica ambientale. Il faggio offre inoltre alcuni usi alimurgici e medicinali poco noti da noi ma già sfruttati in altri Paesi: i sui semi, detti faggine o faggiole, sono commestibili purché previamente tostati e inoltre contengono un 17-20% di un olio semi siccativo, cioè simile a quello di lino; le gemme e giovani foglie si possono mangiare in insalata e la sua corteccia contiene principi antiacidi, antipiretici, stimolanti e antisettici.

 

La coltivazione del faggio è possibile da semi, ma questi non rimangono viabili molto tempo, per cui vanno piantati in autunno, appena maturi. Le giovani piantine tollerano l'ombreggiatura ma richiedono protezione contro le gelate, vanno messe a dimora al terzo anno. I primi anni dopo il trapianto la loro crescita è lenta, ma poi accelera fino ad 1 metro/anno. Il faggio prospera su suoli leggeri o di medio impasto, ma non si adatta bene a suoli umidi pesanti. Preferisce suoli calcarei ma può sopravvivere su suoli acidi. Cresce bene in un ampio intervallo di condizioni climatiche, a condizione che le piogge siano regolarmente ripartite lungo l'anno. Una volta che gli alberi sono maturi, tollerano anche la siccità.

 

Esistono diverse varietà con morfologie e colorature che rendono questa pianta adatta anche come ornamentale. Le più comuni sono le varietà purpuree, laciniate, pendule e a foglia variegata, che hanno qualità estetiche di particolare pregio. In generale quelle purpuree esaltano le proprie colorazioni se radicate in luoghi direttamente esposti alla luce, mentre quelle a foglia gialla prediligono condizioni di mezza ombra. Esistono inoltre diverse morfologie, dagli individui maestosi col fusto dritto a colonna e rami penduli o dritti a quelli tortuosi o serpeggianti. In ogni caso, la coltivazione come ornamentale non è adatta ai viali urbani in quanto richiede ampi spazi liberi, suoli senza ristagno, non cementificati o compattati e assenza o basso livello di inquinamento. Gli interventi di potatura vanno fatti con cautela perché possono innescare infezioni da carie o attacco di insetti. La fitta ombreggiatura della chioma del faggio fornisce in cambio la mitigazione dell'effetto "isola di caldo" proprio delle città.

 

Bibliografia

(1) Ebone A., Brenta P., Terzuolo P.G., 2012 - Il Faggio: conoscenze e indirizzi per la gestione sostenibile in
Piemonte. Regione Piemonte, Blu Edizioni, pp. 136.

(2) Ciancio, Orazio & Iovino, Francesco & Menguzzato, Giuliano & Nicolaci, Antonino. (2007). Interventi selvicolturali in cedui di faggio che hanno superato il turno consuetudinario e valutazione della biomassa legnosa ritraibile. L'Italia Forestale E Montana. 62. 339-353. 10.4129/IFM.2007.5-6.03.

(3) Noël Le Goff, Jean-Marc Ottorini. Root biomass and biomass increment in a beech (Fagus sylvatica L.) stand in North-East France. Annals of Forest Science, 2001, 58 (1), pp.1-13.

(4) Meyer, P., Nagel, R., & Feldmann, E. (2021). Limited sink but large storage: Biomass dynamics in naturally developing beech (Fagus sylvatica) and oak (Quercus robur, Quercus petraea) forests of north-western Germany. Journal of Ecology, 109, 3602–3616.