Per respirare un po' l'aria del settore un girettino al Sana, la fiera del biologico che si tiene a Bologna, lo abbiamo voluto fare.

 

Fra le non trafficatissime corsie, quest'anno disertate da tanti produttori, abbiamo avuto conferma di quello che pensiamo da tempo: il settore a forza di conformarsi alle esigenze del marketing e dei distributori, a forza di omologarsi al mercato (o meglio alla Gdo) ha perso l'anima. E quel che è peggio anche il valore aggiunto.

 

Nonostante le vendite del biologico in Italia abbiano superato i 5 miliardi di euro (di cui il 58% realizzato presso la Gdo), i valori sono stati però fortemente drogati dalla spinta inflazionistica e i volumi mostrano una contrazione. I margini vanno al distributore al dettaglio e i produttori spesso soffrono.

A salvare il settore sono i consumi fuori casa (leggi settore Horeca: 1,3 miliardi) e soprattutto l'export che realizza un valore di 3,64 miliardi di euro (+ 8% nell'ultimo anno e +203% rispetto al 2012). Un dato molto interessante riguarda il vino bio che ha totalizzato ben 626 milioni di euro in esportazione (il 19% del totale export - tutti i numeri: fonte Nomisma).

 

Nonostante la sempre maggiore concorrenza internazionale (occhio alla Francia e alla Spagna), le migliori prospettive per il settore del biologico provengono quindi dall'export. Qui bisognerà giocare la partita più importante nei prossimi anni. Il biologico un'anima la può ritrovare nel marketing territoriale, unendo la valorizzazione dei prodotti a quella dei territori turistici.

Per esempio, i biodistretti possono essere un'interessante via di sviluppo e di governance territoriale per tante aree, soprattutto quelle collinari e montane interne.

 

Bisogna puntare alla qualità. Anche e soprattutto quella del territori.