… se per caso dovesse malauguratamente verificarsi davvero l'estinzione degli impollinatori a livello planetario. Uno scenario ovviamente che rasenta il fantascientifico, visto che api e bombi sono allevati dall'uomo, ma che comunque non va preso sottogamba. 


Sebbene la maggior parte del cibo per uomo e animali provenga infatti da colture che non necessitano di impollinazione, appare molto alto il numero di piante, coltivate e non, che dipendono dalle api e da altri impollinatori, imenotteri o meno che siano. Quindi sarà bene averne maggior cura.


Un esercito di nemici

Parassiti come la Varroa e patogeni come batteri, funghi e virus fanno già oggi strage di api, costringendo gli allevatori a moltiplicare le colonie per compensare le perdite. Da un lato la citata Varroa, acaro nemico numero uno delle api, dall'altro batteri come quello della peste americana, al secolo Paenibacillus larvae. Come se ciò non bastasse, si aggiungono al novero dei flagelli anche una mezza dozzina di virus dagli effetti differenti, come pure Nosema ceranae, microsporidio capace anch'esso di scombussolare la fisiologia di questi imenotteri e divenire letale soprattutto quando presente in combinazione con altre avversità.

 

Non che da sola la Nosema vada presa con leggerezza, visto che può arrivare di per sé a provocare il collasso della colonia. In tal caso, soprattutto nei mesi più freddi, può risultare infetto da Nosema ceranae oltre il 50% delle api morte nell'alveare, contandosi in esse milioni di spore.


Il clima cambia: le api soffrono

Il range termico ottimale delle api non è infinito. Così come il freddo non è affatto gradito, nemmeno il caldo estremo gioca a favore della salute di questi impollinatori. Se a ciò si aggiunge la penuria di acqua e la scarsità di fioriture nettarifere, il quadro si complica ulteriormente. Di certo, il problema non può essere risolto impedendo agli agricoltori di proteggere le proprie colture da malattie e parassiti, né si può chiedere loro di rinunciare ai diserbi poiché eliminano anche specie vegetali nettarifere. 


Se non si eliminano le malerbe, che sia usando glifosate, oppure altri diserbanti o sarchiatrici, le colture perdono diversi punti percentuali di resa. Quindi appare insensato - e anche poco rispettoso - pretendere che degli imprenditori non facciano il proprio mestiere in casa propria affinché altri imprenditori, esterni all'azienda agricola, possano fare il proprio.

 

Del resto, se in certe aree del Cremonese e del Lodigiano impera la zootecnia lattifera, nei campi si troveranno mais, soia, erba medica, cereali e qualche altro tipo di foraggera di cui alle api poco ne cala. C'è quindi da chiedersi se abbia senso intestardirsi in un tipo di allevamento che in particolari zone non trovi le condizioni ideali per essere remunerativo. 


Un primo passo potrebbe invece essere quello di gestire i territori nel loro complesso un po' meglio che in passato, pianificando ovunque possibile la presenza di alberature nettarifere, siepi, aree verdi pubbliche e demaniali ricche di specie utili alle api e non solo. Anche nelle città, non solo in aperta campagna. Forse in tal modo i due mondi, agricolo e apistico, potrebbero convivere in intere province senza pestarsi i piedi l'uno con l'altro. 


Tecnologie innovative: strumenti ragionevoli o sfide impossibili?

Ipotizziamo però che poco si possa (o si voglia) fare dal punto di vista degli ecosistemi, con i cambiamenti climatici e l'antropizzazione del territorio che continuano imperterriti. In tal caso è bene guardare con attenzione anche a soluzioni atte ad aumentare la resilienza sia delle api, sia dei sistemi agricoli che di impollinazione necessitano. 


In tal senso può essere d'ausilio la tecnologia, da intendersi sotto molteplici aspetti. Per esempio, in Israele, per la precisione a Bet Haemek, a una trentina di chilometri a nord di Haifa, ha sede una startup dal nome Beewise che promette di costruire arnie a controllo elettronico e robotico. I sistemi previsti prevedono il monitoraggio continuo delle api, tramite appositi sensori, al fine di evidenziare tempestivamente anomalie o problemi di qualsiasi genere. 


Ciò può contribuire alla corretta gestione delle colonie, riducendone la mortalità grazie a una maggiore precisione negli interventi. Tale "Robo-alveare" è stato battezzato "Beehome", ovvero la casa delle api. Nei modelli previsti al momento vi si possono allocare all'interno sino a 24 alveari. Questi vengono gestiti per lo più da sistemi robotizzati che oltre a monitorare le api possono decidere in piena autonomia quando è il momento di somministrare loro soluzioni zuccherine, anche medicate. "Beehome" è alimentato prevalentemente con pannelli fotovoltaici e utilizza l'energia, solare meno che sia, per regolare temperatura e umidità nelle colonie, arrivando persino a estrarre il miele grazie a centrifughe integrate nella struttura.


Utile, ma con alcuni limiti. Le api, per operare, devono infatti bottinare più volte al giorno. Ciò perché necessitano di polline e nettare per il sostentamento delle colonie. Sono poi gli apicoltori a "rubare" buona parte di quel bottino per venderselo. Quindi, da quelle oasi di pace e tranquillità gli impollinatori devono comunque entrare e uscire in continuo, dal momento che con il proprio estenuante lavoro devono mantenere se stesse e pure l'apicoltore.

 

Ergo, se all'interno di "Beehome" vi sono, per esempio, 30°C e il 70% di umidità relativa, all'esterno le api potrebbero incontrare temperature e umidità molto diverse. In futuro, forse, molto, molto diverse. Sbalzi che potrebbero nuocere anch'essi alla salute delle colonie. In più, le api non possono nemmeno essere alimentate solo con acqua e zucchero: se di nettare e di polline non se ne trova, causa siccità, il disastro resta sempre dietro l'angolo. 


Forse in futuro si arriverà a nutrire le api direttamente in strutture come "Beehome", tramite soluzioni nutritive complete, magari derivanti da industrie che realizzano ricette liquide ricche di ogni elemento utile alle api per vivere e produrre. Ma in tal caso, già si possono udire le urla di chi accuserebbe gli apicoltori di fare "miele sintetico". Una piaga, quella degli strillatori compulsivi, che pare crescere di anno in anno.

 

Se però il Pianeta diverrà davvero inospitale per gli impollinatori, come in molti paventano, sarà bene farsene una ragione e creare loro intorno l'ambiente migliore per continua re a vivere. I costi? E chi lo sa. In fondo, se i consumatori amano il miele, dovranno anche rassegnarsi a pagarlo magari il doppio o il triplo di oggi. Tutto ha infatti un costo e questo mica deve sempre e solo ricadere sui produttori. 

 

E se le api davvero sparissero?

Fatto salvo il paragrafo precedente, con le api che sfuggono ai cambiamenti climatici vivendo in capsule confortevoli, resta comunque un problema: e alle colture agrarie che necessitano di impollinazione, chi ci pensa? Che le api si estinguano, oppure vivano in ambienti confinati, il problema infatti non cambia: in giro di api non ce ne sarebbe comunque. Aranci, meli, peschi, mandorli et similia avrebbero quindi dei bei problemi a farsi fecondare


In tal senso la Arugga Al Farming, altra Azienda anch'essa israeliana, ha sviluppato "Polly". Sempre di robotica e di intelligenza artificiale si parla, infatti. "Polly" è un robot concepito per impollinare i fiori tramite getti di aria mirati, tali da spargere comunque il polline dove serve. Stando alle dichiarazioni dell'azienda, tale soluzione sarebbe già impiegata con successo in diversi Paesi al mondo, come Israele, Australia e Stati Uniti, e l'efficienza di impollinazione supererebbe del 20% quella dei pronubi. 


Appositi sensori ottici individuano infatti i fiori pronti per l'impollinazione, evento realizzato come detto da rapidi e decisi impulsi d'aria. Al momento, però, "Polly" è operante in serra, spostandosi grazie a carrelli muniti di ruote, alimentati per via elettrica. Dal punto di vista costruttivo, il sistema consta di una struttura multipiano sulla quale sono installate diverse unità pneumatiche.

 

Forse in futuro si metteranno a punto dei droni capaci di fare altrettanto, ma in volo. Altrimenti per certi alberi da frutto non pare che l'attuale versione di "Polly" possa essere utilizzata. A meno ovviamente di adottare sistemi di allevamento superintensivi, con alberi sviluppati in altezza ma non in spessore: stretti, alti e lunghi. Magari dotando "Polly" di gomme e carrelli semoventi "all terrain", poiché un frutteto non è esattamente come una serra dal punto di vista del piano d'appoggio. 


Microbot a strisce

Da anni si ipotizza la realizzazione di microbot volanti, capaci di sostituirsi alle api nella visita ai fiori. Recentemente qualcuno ci sarebbe pure riuscito a sviluppare un prototipo in tal senso. Trattasi dei ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Elettronica del Mit di Boston. Questi avrebbero messo a punto dei microbot capaci di volare grazie al peso molto contenuto, nell'ordine di mezzo grammo, e al sistema di ali che imitano quelle vere.

 

Attuatori di gomma, ricoperti di nanoparticelle, sono le soluzioni che permettono a questi microbot di volare. Per svolgere il ruolo delle api, però, servirebbe che tali minidroni fossero programmabili in modo specifico. C'è quindi ancora molto da lavorare.


Un prototipo di ape robot è stato parallelamente sviluppato anche dall'Università di Harvard, ma ciò che più attrae la curiosità è il fatto che persino Walmart, gigante americano dei supermercati con un fatturato di oltre 570 miliardi di dollari, abbia recentemente brevettato un tipo di ape robot capace a detta dei progettisti di sostituirsi ai tradizionali pronubi a strisce gialle e nere.


Di certo, l'idea che un colosso come Walmart abbia investito in tali ambiti di ricerca la dice lunga su quanto il tema "impollinazione" venga ritenuto strategico nella complessiva sostenibilità delle produzioni agricole. Bene sarà quindi che ci meditino sopra sia il comparto primario, produttore di cibo, sia la politica che lo amministra. Talvolta in modo bizzarro.