La Dop economy

In Italia se ne contano 849 delle quali 526 sono inerenti il vino.

Si tratta dei prodotti agroalimentari tutelati da una denominazione di origine, la "Dop economy", come viene definita ricorrendo a un termine anglosassone.

E' questo un settore in forte ripresa, come scrive Barbara Millucci sulle pagine del Corriere della Sera del 5 dicembre dedicate all'economia.

Il valore di questo settore, come evidenziano i risultati del XX Rapporto Ismea-Qualivita 2022, raggiunge la ragguardevole cifra di 19,1 miliardi di euro, il che si traduce in una crescita del 16% su base annua.

 

I risultati più importanti sono quelli registrati dal settore vitivinicolo, che segna un più 21,2%, raggiungendo un valore di oltre gli 11 miliardi, mentre il comparto del cibo Dop e Igp sfiora gli 8 miliardi, con un incremento del 9,7%.

L'articolo mette in evidenza l'importanza delle esportazioni, che raggiunge i 10 miliardi di euro e fa registrare aumenti in tutti i comparti, dal vino ai prodotti a base di carne.


Il drone sui campi

Si sofferma sull'impiego dei droni il dossier agroeconomy pubblicato su Il Resto del Carlino del 6 dicembre, prendendo spunto da un recente rapporto dell'Osservatorio Smart Agrifood, realizzato dal politecnico di Milano e dall'Università di Brescia.

Già utilizzati in passato per la raccolta dei dati, i droni ora possono svolgere importanti operazioni colturali, come i trattamenti fitosanitari mirati alla lotta biologica integrata.

 

Un ulteriore impiego dei droni potrebbe essere quello della mappatura dei terreni, dove l'impiego di queste tecnologie è in grado di fornire in tempi rapidi mappe accurate sullo stato di salute delle colture.

Al momento l'uso prevalente dei droni riguarda la distribuzione aerea da bassa quota di agrofarmaci e altri prodotti.

Con l'utilizzo dei droni è inoltre possibile individuare con precisione aree caratterizzate da stress idrico, consentendo così la realizzazione di modelli di irrigazione mirati, grazie ai quali è possibile risparmiare sino al 30% di acqua.


Voucher, il dibattito è aperto

L'articolo firmato da Marco Leonardi su Il Foglio del 7 dicembre affronta un argomento particolarmente dibattuto in queste settimane: i voucher lavoro.

Si ricorda che il voucher cartaceo per il lavoro occasionale fu introdotto nel 2003 e si dimostrò uno strumento agile, utilizzato da famiglie e imprese per pagare il lavoro ad ore, con un successo forse superiore alle attese, tanto che nel 2016 si contavano 1,6 milioni di lavoratori che utilizzavano i voucher.

Purtroppo il sistema fu spesso abusato per eludere ad esempio i controlli degli ispettori del lavoro.

 

Dopo una lunga trattativa con i sindacati che ne volevano abolire l'utilizzo anche attraverso referendum, il Governo decise di cancellarli nel 2017.

Ma visto che si trattava di uno strumento utile per far fronte alle esigenze di un mercato del lavoro frammentato, si decise di reintrodurre lo strumento in modo esclusivamente elettronico e oggi è utilizzato da appena 50mila lavoratori.

In altri paesi il problema del lavoro temporaneo è stato risolto con l'introduzione del salario minimo.

Il voucher che ora si vuole reintrodurre a partire dal 2023 è sostanzialmente uguale a quello elettronico del 2017, ma raddoppiato nei limiti di utilizzo, che sale sino a 10mila euro.

L'articolo si conclude con una domanda: è normale che chi oggi vuole il voucher allo stesso tempo non voglia il salario minimo? Inoltre: è normale che altri che non vogliono i voucher non vogliano nemmeno il salario minimo?


Il certificato di "non deforestazione"

L'Italia avrà 18 mesi di tempo per certificare che le importazioni di caffè, cacao, soia, olio di palma, carne bovina, proviene da aree esenti da deforestazione.

Lo conferma Micaela Cappellini dalle pagine de Il Sole 24 Ore dell'8 dicembre, citando l'accordo raggiunto fra il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione.

Ciò significa che le aziende italiane potranno importare solo materie prime certificate e se a loro volta vorranno esportare questi prodotti all'interno degli altri paesi dell'Unione dovranno dotarsi di una certificazione della provenienza.

 

Se si danno per buoni i dati diffusi dal Wwf, l'Unione Europea è il secondo maggiore importatore al mondo di prodotti che causano la deforestazione.

Nei prossimi 18 mesi i paesi europei saranno chiamati ad individuare gli enti di certificazione e in caso di inosservanza potrebbe scattare un'ammenda pari al 4% del fatturato annuo che l'operatore inadempiente ottiene dei suoi commerci nell'Unione europea.

La regola è certamente di buon senso, sebbene ci sia da interrogarsi se ciò potrà comportare un divario di competitività nei confronti delle aziende che essendo fuori dall'Unione europea non sono tenute a rispettare regole analoghe. Un interrogativo del quale l'articolo non fa cenno.


Dietrofront per carne e vino

La Commissione europea aveva incluso carne e vino nell'elenco degli alimenti potenzialmente dannosi per la salute e per questo aveva anticipato che nel 2023 sarebbero stati sospesi gli aiuti alla promozione di questi prodotti sui mercati stranieri.

Minaccia rientrata dopo che undici paesi e fra questi l'Italia, si sono opposti con convinzione a questa decisione.

Dunque anche per il prossimo anno sia la carne sia il vino, ma anche la birra, potranno continuare a fruire degli aiuti comunitari per le azioni di promozione sui mercati di esportazione.

Se ne ha conferma dall'articolo pubblicato su Il Resto del Carlino del 9 dicembre con la firma di Elena Comelli.

 

Negli ultimi cinque anni l'Unione Europea ha speso circa 143 milioni di euro per la promozione di questi prodotti, spesa che si voleva azzerare in linea con la strategia Farm to Fork, orientata a promuovere una dieta più salutare.

Per l'Italia l'aver conservato gli aiuti alla promozione è un risultato importante visto che la produzione di carne realizza complessivamente un fatturato di circa 10 miliardi di euro, ai quali si aggiungono i 16 miliardi del vino made in Italy.


Agrofarmaci, tutto in sospeso

Marcia indietro anche per il progetto europeo di riduzione degli agrofarmaci.

Come anticipa Micaela Cappellini sulle pagine de Il Sole 24 Ore del 10 dicembre, il Consiglio dei Ministri dell'Agricoltura ha richiesto un supplemento di dati sull'impatto che la proposta di dimezzare l'uso degli agrofarmaci entro il 2030 potrebbe avere sull'agricoltura.

Si chiede una valutazione che oltre agli aspetti ambientali prenda in considerazione anche quelli di carattere economico e sociale.

 

I Paesi propensi al rinvio sono 18, dunque un numero superiore alla maggioranza semplice necessaria per approvare la proposta.

La richiesta di tempi più lunghi per raggiungere l'obiettivo della riduzione degli agrofarmaci trova peraltro motivazione nella mancanza di ritrovati alternativi alla chimica tradizionale.

Lo stesso vice commissario all'Ambiente, Virginiju Sinkevicius, aveva peraltro ammesso già in precedenza che la riduzione del 50% proposta dalla Commissione era un'ipotesi molto ambiziosa.

 

Prosciutti e suini

Si allarga l'elenco delle Regioni dalle quali possono provenire i suini destinati alla produzione del prosciutto di Parma Dop.

Lo prevedono le modifiche al disciplinare di produzione che ha ottenuto il via libera anche dalle autorità comunitarie.

I nuovi requisiti, come scrive Attilio Barbieri su Libero dell'11 dicembre, prevedono che i prosciutti di Parma si potranno fare con le cosce dei suini provenienti da Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e ora anche dal Friuli Venezia Giulia.

Diverso invece il caso del luogo di produzione dei prosciutti che è limitato al territorio della provincia di Parma posto a Sud della via Emilia con una distanza da questa non inferiore a 5 chilometri e per una altitudine non superiore ai 900 metri, con limite a Est del fiume Enza e a Ovest del torrente Stirone.

 

Anche per il prosciutto San Daniele Dop la provenienza dei suini è allargata a molte regioni, mentre solo il "Crudo di Cuneo" prevede che la provenienza della materia prima sia limitata alle sole province piemontesi di Cuneo, Asti e parte di quella di Torino.

Se qualcuno, avendone diritto, non fosse d'accordo con i cambiamenti al disciplinare del prosciutto di Parma Dop ha 90 giorni di tempo per manifestare alla Commissione il proprio dissenso.


"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
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