Qualche effetto positivo da questa vicenda del coronavirus dovrà pur sortire. Di certo mi pare che si sia ritrovato un certo spirito nazionale, per non dire orgoglio - che è parola che ad alcuni suona già politicamente scorretta. L' Italia si sta comportando bene e questa è una soddisfazione anche nei confronti di quelli che dovrebbero essere i nostri stretti partner comunitari, ma che pare non perdano l'occasione di rendersi antipatici (se non proprio nocivi).

Lo scorso fine settimana, alla frontiera del Brennero, c'erano 90 km di fila: due (di numero) infermieri austriaci, emuli degli eroi delle Termopili, bloccavano il passo alle merci italiane misurando la febbre a tutti i trasportatori. Chi lavora e produce tiene però duro e si impegna a far bene: è il caso dell'agricoltura e di tutto il settore agroalimentare – qui non ci si può fermare.
Non ci si ferma nonostante i tanti problemi: pensiamo ai maggiori costi o ancora alla necessità di dover lavorare in condizioni disagiate o a ranghi di personale ridotti. E qui veniamo al dunque: c'è solo un settore che in Italia sta facendo affari d'oro - è la Grande distribuzione. A cui vanno, sia ben inteso, dati i propri meriti (soprattutto al personale attivo nei punti vendita), ma a cui va fatta una (non sommessa) raccomandazione: che nessuno si sogni di speculare.

Alcuni inquietanti segnali ci stano arrivando da diverse aree di produzione: dai classici bagarini (in Italia purtroppo sempre presenti e operosi) ai buyers "creativi". Pare che qualche genio stia già progettando formidabili promozioni sottocosto per il mese di aprile. Le associazioni, le autorità, tutti (anche i giornalisti….) devono vigilare con attenzione anche nei casi in cui le operazioni sono ammantate dal glamour delle migliori operazioni marketing.

La valorizzazione della nostra agricoltura e la giusta retribuzione dei produttori possono diventare temi in cui si può esercitare la coscienza nazionale. Soprattutto in momenti difficili.