La Commissione Europea e il Consiglio dell'Unione Europea hanno proposto di cambiare lo stato di tutela del lupo da specie rigorosamente protetta a specie protetta.

 

Una proposta che l'anno scorso era già stata fatta dal Parlamento Europeo, anche su richiesta di Italia, Spagna e Francia, per cercare di limitare gli attacchi dei lupi agli animali allevati.

 

Ma qual è la situazione attuale in Italia e cosa cambierà nel concreto se lo stato di protezione del lupo sarà modificato? 

 

Lo abbiamo chiesto al professor Paolo Ciucci, dell'Università La Sapienza di Roma, uno dei principali esperti europei di lupi.

 

Professor Ciucci, quale è la situazione del lupo oggi in Italia? Quanti ce ne sono e dove sono?

"Rispetto ai primi Anni '70 del secolo scorso, quando non più di 100-150 lupi vivevano isolati e a elevato rischio di estinzione nelle zone più remote dell'Appennino centromeridionale, oggi la situazione è decisamente cambiata. Negli ultimi 40 anni si è assistito a un graduale ma costante recupero numerico della popolazione e alla corrispondente espansione dell'areale. Si tratta di un fenomeno del tutto naturale, ma coadiuvato da misure di conservazione come la protezione legale, la tutela delle specie preda e la creazione di aree protette. Oggi, in base alla recente stima di popolazione prodotta da Ispra e relativa ai mesi invernali del 2020-2021, in Italia vivono circa 3.300 lupi, distribuiti con continuità dall'Aspromonte fino alle Alpi. La specie non la si trova più esclusivamente nelle zone montane più remote e inaccessibili ma è presente anche in aree fino a pochi decenni fa erroneamente considerate poco o affatto idonee. Parliamo delle zone collinari o di pianura dove un minimo di copertura vegetazionale, la presenza di prede o altre risorse alimentari e la scarsa densità umana permettono al lupo di sopravvivere, anche se in condizioni marginali. Sempre più spesso stiamo registrando la presenza di esemplari anche in contesti più tipicamente antropizzati, persino alle porte di grandi città come Parma, Modena, Firenze e anche Roma.

 

Sebbene il recupero della specie su scala nazionale rappresenti un importante successo di conservazione (tutti ricorderanno la campagna San Francesco e il Lupo degli Anni '70), la situazione attuale pone nuove e importanti sfide gestionali, essenzialmente in relazione alla compatibilità con le attività antropiche. Sfide che sono di gran lunga più difficili e complesse da affrontare sul piano tecnico, sociale, politico e anche etico rispetto a quanto non lo sia stato scongiurare il rischio di estinzione della specie 50 anni fa. L'attuale contesto gestionale è reso inoltre ancora più complesso considerando che i 3.300 lupi censiti da Ispra non sono tutti lupi, in quanto un numero imprecisato ma importante di questi sono il risultato di ibridazione con il cane. La gestione di questo fenomeno è di inusitata complessità, fosse solo per il fatto che gli individui di origine ibrida sono difficilmente identificabili e non hanno una specifica collocazione all'interno dell'attuale quadro normativo".


Cosa è una specie rigorosamente protetta e perché il lupo lo è?

"Tecnicamente, le specie rigorosamente protette sono quelle incluse nell'appendice II della Convenzione di Berna e negli allegati II e IV della Direttiva Habitat, lo strumento attuativo della Convenzione di Berna. Si tratta di specie che, in virtù del loro precario stato di conservazione, necessitano di attenzioni e misure 'speciali' di conservazione, incluso il divieto assoluto di cattura, di possesso o uccisione di esemplari e di altre forme di disturbo e interferenza da parte dell'uomo. Stiamo quindi parlando del massimo livello di tutela e l'obiettivo è favorire il raggiungimento di uno ‘stato favorevole di conservazione' per le specie in questione. Il lupo è elencato tra le specie rigorosamente protette perché, negli anni in cui questi strumenti normativi vennero adottati, il suo stato di conservazione era considerato precario in molte popolazioni europee, inclusa quella italiana.

 

La normativa europea, del resto, prevede la possibilità di ricorrere a deroghe del regime di protezione rigorosa in base alle quali è quindi possibile ricorrere al prelievo di esemplari di lupo, sebbene in casi particolari e garantendo il rispetto di condizioni particolarmente stringenti (art. 16 della Direttiva Habitat). Alcuni paesi sono infatti ricorsi alla possibilità di deroga, come la Germania, che ne ha fatto un uso occasionale, o come Francia e Svezia che ne hanno fatto uno uso ricorrente. In tutti i casi, la deroga viene richiesta per mitigare situazioni particolarmente conflittuali tra lupo e attività antropiche, essenzialmente la predazione a carico degli allevamenti estensivi in aree da dove il lupo mancava da decenni. Sempre in Europa, altri paesi hanno invece incluso il lupo nell'appendice III della Convenzione di Berna (specie protette ma di cui è possibile prevedere un prelievo sostenibile) e altri ancora hanno di fatto escluso la specie dall'elenco delle specie protette.

 

Le differenti modalità di applicazione della normativa europea riflettono differenze importanti sia nello stato di conservazione del lupo nei vari paesi, sia nelle tendenze culturali, sociali e politiche nei confronti della specie. Aspetto, quest'ultimo, da tenere presente alla luce della recente dinamica del quadro normativo di riferimento europeo. Al riguardo, è bene ricordare che l'Italia, che include il lupo tre le specie rigorosamente protette, non ha mai fatto ricorso alla possibilità di deroga e che da noi lo stato di protezione rigorosa risale al 1971 (quasi un decennio prima della Convenzione di Berna), da allora sempre confermato. Considerati gli elevati livelli di bracconaggio da sempre registrati e rimasti impuniti nel nostro paese, non illudiamoci però che questo stato di protezione rigorosa sia stato di fatto adeguatamente implementato, ma questo è un discorso ben più complesso".


Cosa potrà cambiare se diventerà una specie "solamente" protetta?

"Premesso che la proposta di declassamento del lupo dall'appendice II (specie rigorosamente protetta) all'appendice III (specie protetta) deve essere ancora formalmente approvata dal Comitato permanente della Convenzione di Berna, e quindi eventualmente integrata nella Direttiva Habitat, lo scopo è fornire ai singoli Stati membri maggiore flessibilità nella gestione del lupo considerato il recupero numerico della specie su scala europea. La proposta è stata avanzata in risposta al crescente impatto del lupo sulle attività antropiche e all'intenso conflitto sociale che ne consegue, specialmente nei paesi e nelle regioni di recente ricolonizzazione.

 

In pratica, passando in appendice III, il lupo non godrà più del regime di protezione rigoroso che ne vieta l'uccisione, anche se bisognerà poi vedere come questa modifica verrà codificata nella Direttiva Habitat. La logica di questa proposta (Parlamento Europeo e Commissione Europea) si fonda sull'assunto che un eventuale controllo numerico delle popolazioni di lupo, se necessario o opportuno, possa poi tradursi nella riduzione dei danni da predazione e, di conseguenza, nella riduzione del conflitto sociale e in una maggiore accettazione della specie. Si tratta comunque di un assunto altamente dibattuto dal punto di vista tecnico e comunque particolarmente controverso. Va ribadito che, nonostante il declassamento, il lupo rimarrebbe comunque una specie protetta ed eventuali prelievi andrebbero quindi attentamente pianificati in modo da assicurare il mantenimento di uno stato soddisfacente di conservazione dell'intera popolazione su scala nazionale. Starà quindi ai singoli stati membri, o a quegli stati che condividono popolazioni transfrontaliere, declinare di conseguenza le azioni e le strategie di gestione della specie.

 

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Il professor Paolo Ciucci dell'Università La Sapienza di Roma

 

Quindi nel caso del cambiamento dello stato di protezione si potranno abbattere i lupi? E se sì, quanti e da chi?

", come abbiamo appena detto il lupo potrebbe diventare oggetto di prelievo come conseguenza del declassamento in appendice III, sebbene l'articolo 7 della Convenzione di Berna ribadisca che si debbano comunque mantenere le condizioni di conservazione a livello di popolazione. Come abbiamo visto, in base al regime in deroga anche l'attuale normativa prevede la possibilità di ricorrere ai prelievi (non senza generare intensi conflitti sociali); tuttavia, con la declassificazione, optare per questa scelta gestionale sarebbe più facile e immediato, in quanto non dovranno più essere rispettate le condizioni stringenti ora necessarie per la concessione della deroga. È difficile oggi prevedere se e quanti lupi saranno effettivamente abbattuti, dove e da chi.

 

Le scelte gestionali sono innanzitutto scelte politiche, anche se sperabilmente supportate da adeguate conoscenze scientifiche. Se il ruolo della politica è anche quello di ridurre la conflittualità sociale (e il lupo, riconosciamolo, è argomento eccezionalmente divisivo), non sono certo che aprire in Italia la caccia anche ad un solo lupo sarà una scelta scontata, nonostante la normativa europea lo potrebbe rendere possibile. E se mai questa scelta verrà presa dai governi in carica, la necessità di garantire comunque la conservazione della specie su scala nazionale dovrà prevedere un importante e assiduo coordinamento tra regioni e ministeri, cosa che appare particolarmente ardua in un paese come il nostro dove la gestione del lupo è sempre stata per volontà politica fortemente decentralizzata".


Ma perché proteggere i lupi? 

"Tipicamente si risponde a questa (ricorrente) domanda facendo un lungo elenco di valori (ecologici, ricreativi, economici, educativi, scientifici, storici, culturali, estetici, spirituali…) che vengono generalmente associati al lupo. Preferisco però porre l'accento in prospettiva sociale, ovvero sottolineando il fatto che, anche se ci sono persone e settori della società che del lupo ne farebbero volentieri a meno, in un paese democratico il lupo viene protetto perché così vuole la stragrande maggioranza della gente, come ribadito dai più recenti sondaggi condotti sia in Italia che all'estero. Proteggere il lupo, tuttavia, non vuole dire disconoscere i problemi che un predatore può comportare in paesi densamente popolati come quelli europei, Italia per prima. Al contrario, vuole dire farsi carico di questi problemi in maniera proattiva e trovare soluzioni funzionali e socialmente accettabili per mitigare il conflitto e facilitare la coesistenza. È qui che va enfatizzato il ruolo e la responsabilità della politica che, adeguatamente informata dalla scienza, deve promuovere la mediazione tra posizioni solitamente fortemente contrapposte tra chi il lupo lo santifica e chi lo demonizza".

 

Oggi si cerca di arrivare ad una convivenza tra lupo e allevamento, ma le preoccupazioni da parte degli allevatori sono molte. Esistono esempi positivi, in cui la presenza del lupo e la pastorizia riescono a coesistere?

"Le preoccupazioni degli allevatori sono più che legittime. Tutti sappiamo che le predazioni possono causare ingenti danni economici, diretti e indiretti, a livello della singola azienda e che subire un evento predatorio può impattare l'attività produttiva e la vita privata di un allevatore. Proprio perché la predazione avviene da parte di una specie protetta può essere vissuta come un'imposizione e assumere quindi una valenza che va ben oltre il danno materiale; può diventare elemento di contrasto tra valori e culture diverse (per esempio rurale e urbana). Per questo motivo negli ultimi vent'anni sono stati tanti i progetti promossi per studiare e sperimentare soluzioni efficaci e realistiche tese a prevenire e mitigare l'impatto del lupo sugli allevamenti. Alcune modalità di allevamento, specialmente nelle aree dalle quali il lupo mancava ormai da decenni, possono risultare del tutto inadeguate alla presenza di un predatore sul territorio.

 

Prendendo spunto dalle aree in cui il lupo invece non è mai scomparso, si può cercare di recuperare e riadattare modalità di allevamento e tecniche di difesa e guardiania più efficaci. Questo comporta però del lavoro addizionale non indifferente e spesso una riduzione dei profitti; è quindi necessario che l'allevatore sia predisposto a riconsiderare le proprie modalità di allevamento e, soprattutto, sia disposto ad accettare la presenza del lupo come elemento permanente del paesaggio e non a viverlo come una scomoda e intollerabile imposizione. In poche parole, ad accettare il lupo come elemento in più che contribuisce al rischio di impresa e da cui quindi difendersi in maniera adeguata. Le soluzioni di coesistenza non possono essere semplicemente calate dall'alto, tramite qualche normativa o bando regionale e la loro promozione necessita di tre ingredienti fondamentali: (1) adeguate forme di incentivazione, non solo finanziaria ma anche sociale e culturale; (2) la partecipazione attiva degli allevatori, insieme ad altri portatori di interesse, ai processi decisionali che attengono alla definizione delle strategie e delle politiche di conservazione e gestione del lupo, e (3) la puntuale valutazione della funzionalità, sostenibilità e accettabilità sociale delle misure adottate".

 

La paura del lupo è per noi Europei qualcosa di atavico, tanto che la ritroviamo nelle favole e nelle leggende. Ma oggi ci sono o ci possono essere pericoli per le persone?

"In Europa, l'atteggiamento delle persone nei confronti del lupo, incluso il senso di paura, varia enormemente da paese a paese in base alle tradizioni, alle culture e alle esperienze locali. Queste differenze si traducono in diversi livelli di tolleranza della specie che a loro volta si riflettono nella diversità dei regimi di gestione (per esempio, come dicevamo poc'anzi, nella maggiore o minore propensione nei vari paesi europei a usufruire della possibilità di deroga). È però indubbio che la paura nei confronti del lupo è atavica ed emerge specialmente laddove l'esperienza di coabitazione con la specie è ormai dimenticata da generazioni, come accade nelle zone di recente ricolonizzazione.

 

In realtà, al di là delle percezioni o delle chiacchiere, la scienza ci dice che sono pochissimi, e non solo a livello europeo, i casi di aggressione o di uccisione di persone da parte di lupi sani, talmente pochi che non vale neanche la pena produrre statistiche formali. In Italia, questo lo sa benissimo chi vive nelle aree in cui il lupo non si è mai estinto e dove non viene vissuto come un pericolo. Chi, al contrario, non ha esperienza diretta, o vive nelle regioni di recente ricolonizzazione, ha perso familiarità di coabitazione con la specie e può più facilmente cadere vittima di fake news o paure collettive spesso del tutto immotivate. Per fare un esempio, nel parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, un'area protetta con le più alte densità di lupo mai registrate in Italia, migliaia di turisti ogni anno frequentano l'area in lungo e in largo e in più di cento anni non è stato riportato un singolo attacco alle persone

 

Detto questo, dobbiamo tenere però presente che il lupo è un predatore d'eccellenza, equipaggiato dall'evoluzione per sopraffare prede di ben più grandi dimensioni, come un cinghiale o un cervo dalle nostre parti, o un grosso alce di oltre 400 chili alle latitudini scandinave o dell'Alaska. Il lupo, quindi, deve essere sempre trattato come un predatore potenzialmente pericoloso e tenuto a debita distanza, evitando di rafforzare qualsiasi espressione di confidenzialità nei confronti delle persone. In ambienti altamente antropizzati, specialmente laddove attratti da risorse alimentari, i lupi potrebbero perdere con il tempo quella sana diffidenza e elusività nei confronti delle persone e, se spinti dalla fame, 'sperimentare' nuove prede. È un rischio assai remoto, ma non per questo del tutto inverosimile. Il buon senso e sane regole di coesistenza tra uomo e lupo ci impongono quindi di evitare di attrarre i lupi, volontariamente o no, con ricompense alimentari, qualsiasi esse siano".