Negli allevamenti si lavora da tempo per mitigare le emissioni di gas climalteranti che derivano dalle attività connesse alla zootecnia.

Un impegno che andrebbe premiato, tanto più che le responsabilità degli allevamenti nel provocare cambiamenti climatici sono assai modeste e in molti casi persino nulle, come vedremo.

 

Intanto soffermiamoci su alcuni dati. Secondo la Fao il contributo di tutta l'agricoltura all'emissione di gas climalteranti è pari al 14,5%.

Si tratta di un valore medio mondiale, che assume come metro di misura la quantità di CO2 generata.

E' però importante distinguere l'origine della CO2 prodotta dall'agricoltura rispetto a tutte le altre attività dell'uomo, in particolare quelle alimentate da energie fossili. Vediamo perché.

 

Non tutta la CO2 è uguale

La CO2 che origina da energie non rinnovabili contribuisce in modo diretto all'aumento della presenza di gas climalteranti, in quanto il carbonio che prima era "intrappolato" nell'energia fossile viene "liberato" nell'ambiente.

Dunque la CO2 in questo caso viene "aggiunta" all'atmosfera.

Ciò non accade per l'agricoltura e in particolare per gli allevamenti, in quanto la CO2 che si libera non è di nuova formazione, ma è quella fissata in precedenza nei terreni e nei foraggi con la fotosintesi.

 

Italia virtuosa

Fatta questa distinzione, occorre poi rivedere i calcoli della Fao quando si passa ad esaminare la formazione dei gas serra nel nostro Paese.

Questi conti li ha fatti recentemente Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) e le sue conclusioni affermano che il contributo dell'agricoltura alla formazione di gas climalteranti si ferma al 7,1%.

Il 79% di questa quota può essere imputabile agli allevamenti, dunque poco più del 5% del totale.

I trasporti, solo per ricordarlo, incidono per il 25,3% e le industrie energetiche per il 23,7%.

 

Il ciclo del metano

Ritornando però alle considerazioni sulla "qualità" di queste emissioni da parte degli allevamenti, occorre fare alcune precisazioni.

Nel caso dei bovini si punta il dito sulle emissioni di metano, gas climalterante che origina dalle fermentazioni ruminali e in parte dalla degradazione dei prodotti metabolici.

A differenza della CO2 che resta in atmosfera per mille anni, il metano completa il suo ciclo in soli dieci anni, dopo i quali lo ritroviamo di nuovo riassorbito dalle piante.

 

Meno gas nocivi

Quale che sia l'impatto del metano nel contribuire ai cambiamenti climatici, di questo problema si sono fatti comunque carico gli allevamenti, mettendo a punto diete più equilibrate e meno "metanigere" o introducendo nell'alimentazione integratori in grado di ridurre "alla fonte" la produzione di metano.

C'è poi il grande capitolo della produzione di biogas e biometano, che utilizzato a fini energetici ne evita la dispersione.

Ancora una volta è Ispra a confermare che oltre al metano si è ridotta anche la produzione di ammoniaca (meno 11% dal 2005 a oggi).

 

Impronta carbonio

Ma c'è di più. Per verificare il reale contributo degli allevamenti alla produzione di gas serra, due ricercatori, Roberto De Vivo e Luigi Zicarelli hanno portato a termine una ricerca (pubblicata su Translational Animal Science) dai risultati sorprendenti.

Il loro studio ha calcolato il bilancio fra emissioni di CO2 nella produzione di carne, latte e uova e sequestro di carbonio negli alimenti per il bestiame.

Per fare questi conteggi, estremamente complessi, si è tenuto conto delle quantità di alimenti utilizzati dagli animali, delle emissioni degli animali e dei processi agricoli necessari nel ciclo produttivo.

La somma di queste emissioni è stata messa a confronto con le quantità di carbonio sequestrate dalle colture dei foraggi e degli alimenti e quella lasciata al suolo nelle radici. Risultato: la quantità di carbonio sequestrata è del 10% superiore a quella emessa.

In altre parole, l'allevamento non impatta sull'ambiente ma contribuisce a migliorarlo.

 

Ridurre gli sprechi

Molte convinzioni sulle responsabilità della zootecnia nei confronti dei cambiamenti climatici sarebbero dunque da rivedere alla luce di queste risultanze.

Senza dimenticare che non si ferma l'impegno della ricerca nel mettere a punto modelli di zootecnia di precisione (qualcuno insiste a chiamarla zootecnia intensiva) più efficiente e per questo in maggiore sintonia con l'ambiente, perché ottimizzando le risorse riduce gli sprechi.