Mi prendo l’impegno di esaminare il vostro dossier, ma sono convinto che il comparto agromeccanico debba fare parte della filiera che dall’agricoltura approda all’agroalimentare. Il ministero è aperto a nuove idee e sono convinto che il futuro del Paese si debba costruire partendo proprio dal primario”. Così il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, all’assemblea annuale di Abia Bergamo, l’Associazione bergamasca delle imprese agromeccaniche, i cui soci ieri mattina a Cologno al Serio hanno deliberato il cambio di nome in Confai Bergamo, per sottolineare la piana sintonia politica, ora anche come denominazione, con la Confederazione delle imprese di meccanizzazione agricola. Il ministro Martina, bergamasco, si è anche complimentato con la corporate university Confai Academy, che in questi giorni ha compiuto un anno di vita. “È uno strumento assolutamente innovativo, che offre spunti e analisi importanti per comprendere le evoluzioni del comparto”.

Il numero uno di Confai Bergamo, Leonardo Bolis, che è anche presidente nazionale, ha sottolineato il fatto che il cambio del nome comunica “la ferma adesione ad un progetto che prevede l’estensione della rappresentanza dell’associazione a tutti gli operatori del mondo agricolo. In questo modo sarà potenziata la sinergia tra imprenditori agromeccanici e imprenditori agricoli all’interno dell’organizzazione”.
Tra le criticità messe in luce da Bolis, gli alti costi di produzione del latte, applicazione della direttiva nitrati e dimensione aziendale media ancora limitata. “Se da un lato aumenta il numero dei giovani impegnati in agricoltura – fa notare Bolis - dall’altro crescono l’imprevedibilità e il rischio legati agli scenari internazionali: questo potrebbe determinare, nella nostra provincia, la fuoriuscita dal mercato di molte aziende non attrezzate per competere”.

Tra le tipologie aziendali alle prese con il problema delle economie di scala rientrano quelle cerealicole ‘pure’. “Per le aziende basate esclusivamente sui seminativi, senza diversificazione produttiva in ambito zootecnico o nel comparto dell’agricoltura multifunzionale – spiega Bolis - le prospettive di una gestione efficiente sono legate essenzialmente alle dimensioni. Se nella nostra provincia, fino a qualche anno fa, un’azienda a seminativi di 40-50 ettari consentiva ad una famiglia rurale di ricavare un reddito soddisfacente, ora la soglia della sostenibilità economica per un’impresa di questo tipo si colloca intorno ai 90-100 ettari”. In questi casi, fa notare l’associazione, la possibilità di realizzare un recupero di efficienza è spesso legata all’intervento di un’impresa contoterzista, alla quale venga affidata la gestione delle superfici aziendali e dei piani colturali.

Oggigiorno le imprese agromeccaniche sono uno dei principali fattori di dinamizzazione della struttura aziendale agricola italiana – osserva Enzo Cattaneo, direttore di Confai Bergamo –. In una regione come la nostra, dove la dimensione media aziendale è di 18,3 ettari, ogni impresa agromeccanica lavora complessivamente per conto delle imprese-clienti superfici che vanno da 250 ad oltre 1000 ettari. Tali estensioni sono coltivate come se fossero parte di un’unica realtà aziendale: da qui derivano risparmi ed economie per il mondo agricolo. In caso contrario i margini di profitto per le aziende si riducono drasticamente”.