Questa annata olearia ha scontentato moltissimi agricoltori in tutta Italia. Le rese al frantoio infatti sono state mediamente basse, ben al di sotto della media degli anni passati. Dare delle percentuali generalizzate è impossibile, visto che la resa dipende dalla cultivar, dalla conduzione dell'impianto (ad esempio se è irriguo o meno), dal momento della raccolta e dalla condizioni pedoclimatiche. Ma in generale le aspettative sono state deluse.

Abbiamo raccolto le voci di alcuni agricoltori che da Nord a Sud lamentano percentuali bassissime di resa. In Friuli oscillano tra l'8 e il 10%. In Toscana c'è chi ha fatto il 5-6% e anche dal Lazio gli olivicoltori lamentano percentuali che non superano l'8%. In Puglia si arriva all'11%, quando però si potrebbe fare il 18% e oltre. E anche gli olivicoltori siciliani non stanno festeggiando. Migliori invece le rese in Veneto, come anche in Umbria e nelle Marche.

In molti si sono interrogati sul perché di questa annata anomala e le spiegazioni sono principalmente due e dipendono entrambe dal clima. Da un lato infatti il meteo dello scorso anno ha influenzato negativamente la fioritura del 2020. Inoltre i periodi con scarse precipitazioni ad inizio dell'attuale annata olearia hanno causato lo sviluppo di drupe di dimensioni minori. Ipotesi confermata dal fatto che impianti dotati di irrigazione hanno tenuto nelle rese.

C'è poi da tenere in considerazione il fattore lockdown. Molti olivicoltori hobbisti hanno anticipato anche di due-tre settimane la raccolta delle olive temendo una stretta sugli spostamenti come quella avvenuta ad inizio anno e che ha impedito a moltissimi di recarsi in campo per potare le piante. La strategia di anticipare il raccolto ovviamente ha ricadute non solo sulla qualità dell'olio, ma anche sulle quantità prodotte. Si tratta tuttavia di una strategia che si è resa vincente ad esempio in Calabria, diventata zona rossa, dove da oggi, 6 novembre 2020, agli olivicoltori hobbisti è fatto divieto di recarsi nei propri fondi.
 


Non c'è solo la produttività

"La resa è un tema che sta molto a cuore agli olivicoltori perché tocca direttamente il loro portafogli, ma non deve essere l'unico elemento di valutazione di una annata olearia", spiega Nicola Di Noia, direttore generale di Unaprol. "Bisogna anche valutare la qualità del prodotto, elemento che determina la possibilità di vendere l'olio ad un prezzo superiore".

Da qui l'annosa questione che divide gli olivicoltori italiani. Puntare sulla quantità o sulla qualità? Da un lato infatti c'è chi vuole produrre tanto olio e dunque si spinge nella raccolta molto avanti, ottenendo tuttavia un prodotto di minore qualità. Un prodotto vendibile a prezzi contenuti che tuttavia si trova a dover competere sul mercato con oli provenienti dalla Spagna (se non dalla Tunisia) prodotti ad un prezzo ancora più basso.
 
C'è poi chi punta sulla qualità del prodotto, tipicamente anticipando la raccolta rispetto al picco massimo di inolizione. Quantità ridotte, ma di livello qualitativo elevato, che potrebbero spuntare prezzi di mercato elevati, se non fosse che il consumatore è ancora poco attento alla qualità. E così l'olio resta invenduto, deprimendo le aspettative dell'olivicoltore.

"Dobbiamo cercare un equilibrio tra qualità e resa e puntare sulla formazione del consumatore. Ci sarà sempre chi vuole spendere poco a discapito della qualità, ma c'è anche un'ampia fetta di popolazione che se fosse in grado di apprezzare la qualità dell'olio sarebbe disposta a spendere per averla", sottolinea Di Noia. "Dobbiamo guardare al mondo del vino, dove i viticoltori addirittura gettano a terra una parte dei grappoli per permettere alla pianta di esprimersi al meglio".