Locale è bello. Alcuni anni fa una grande realtà produttiva agroalimentare mi chiese di disegnargli la strategia per aumentare l’export. Dopo avere studiato attentamente la situazione la mia risposta fu: "pensate al locale che è meglio".

Di fatto questi produttori si trovano in prossimità di una grande area metropolitana (9 milioni di abitanti nel complesso) i cui consumi facevano sempre fatica ad essere soddisfatti dalla produzione locale e in cui si ricorreva molto spesso all'importazione. Lo stesso suggerimento potrebbe oggi funzionare in tante realtà.

Tutto sommato è un poco quello che sta succedendo per il turismo durante questa stagione in Italia: nonostante l'assenza degli stranieri in alcune zone non si erano mai visti tanti visitatori - quasi tutti italiani, molti dei quali hanno scelto quest’anno destinazioni casalinghe rispetto a quelle estere. In un'indagine realizzata da Nomisma per Cia emerge come il 62% dei consumatori ritiene importante che un prodotto alimentare sia tipico e legato a un territorio; il 58% ritiene che sia fondamentale che provenga da una specifica azienda della propria zona di residenza.

In effetti un decimo circa delle vendite della Grande distribuzione organizzata è rappresentata da prodotti locali (fonte: Il Sole24 Ore) e molte grandi aziende (una per tutte, tanto per fare dei nomi, la Parmalat) hanno impostato la propria strategia marketing sulla diffusione di una miriade di marchi locali, che si trovano praticamente solo in specifiche aree.

Tanti esperti sono d’accordo nel ritenere il locale una tendenza di mercato assolutamente emergente nei tempi post Covid-19. I consumatori saranno sempre più portati a tenere in considerazione in prodotti a “km 0” e anche i distributori al dettaglio presumibilmente li preferiranno anche per motivi logistici.

In sintesi: è tempo di pagliuzze, alle travi ci penseremo poi.