Si chiama "generazione zeta", è quella dei nati dal 1990 ai primi dieci anni del nuovo secolo. Insomma, giovani e giovanissimi.
Metà di loro si vergogna di consumare in pubblico il latte. Stessa cosa per la carne. Lo conferma il sondaggio promosso da Arla, importante Cooperativa danese di allevatori.

 

Il campione degli intervistati è danese, ma è facile immaginare che situazioni simili siano diffuse in altri Paesi, Italia compresa.
Accade così che molti consumatori finiscano per avere un'alimentazione povera o del tutto priva di prodotti di origine animale.

Di qui la necessità di integrare la dieta con probiotici, multivitaminici, e multiminerali.
La Giornata Mondiale del Latte, che si celebra il primo giugno, potrebbe rappresentare la data della riscossa e della liberazione dagli integratori alimentari, migliorando in modo naturale la propria dieta.


Integratori e latte

Almeno un italiano su due fa regolare uso di integratori, per una spesa complessiva che secondo i dati del Censis supera i 3,2 miliardi di euro, cosa che ci pone ai vertici in Europa nel consumo di questi prodotti.
Ma davvero c'è bisogno di integrare la propria dieta per condurre una vita in salute e piena efficienza? Solo in alcuni casi.
Ad esempio in particolari condizioni fisiologiche, come la gravidanza, l'allattamento o il recupero sportivo, per citarne alcune.
Oppure quando si rinuncia per scelta ad alcuni componenti di una dieta equilibrata, dove latte e formaggi dovrebbero essere presenti nelle giuste quantità.


Attenti alle fandonie

C'è chi è costretto a rinunciarvi, perché intollerante ad uno dei componenti del latte, cosa che accade assai più raramente di quanto si creda.

Poi ci sono quelli, e sono tanti (il 34% dice la ricerca di Arla), le cui scelte alimentari sono basate esclusivamente sulla lettura dei social.
A volte vi si trovano informazioni corrette, più spesso fantasiose o del tutto fasulle, ma ammantate da un'aura di credibilità.
Tanto che il 41% dei giovani danesi (e non solo loro) ritiene che sostituire le proteine animali con alternative a base vegetale sia una scelta più "sostenibile".


Il latte non latte

Così gli scaffali si sono riempiti di bevande che tentano, senza mai davvero riuscirci, di imitare il latte, scimmiottandone persino il nome. 
Inducendo in questo modo in errore il consumatore, convinto di acquistare un "liquido" dalle proprietà equivalenti, se non superiori, a quelle del latte.
L'unico vantaggio che queste bevande offrono sono i più alti margini per chi le produce.

Le stime indicano il fatturato di questo settore in ben 14 miliardi di dollari, con forti prospettive di crescita. 


Proprietà nutraceutiche

Il latte, quello vero, di margini ne offre pochi, sia a chi lo produce, sia a chi lo trasforma.

Difficile ricavarne quanto serve per finanziare campagne promozionali o per comunicare i pregi di un prodotto dalle caratteristiche irripetibili.
Del contenuto del latte in proteine nobili e aminoacidi essenziali lo sanno tutti, come pure del suo apporto in calcio o in vitamine.

 

Meno nota è la presenza di flavonoidi e carotenoidi, acido linoleico coniugato, tioli ed enzimi e la tanto declamata vitamina D3.
Sfatato anche il "rischio colesterolo"; consumare latte, latticini e formaggi non aumenta i livelli di colesterolo Ldl (quello "cattivo"), ma aumenta quello Hdl (quello "buono").
Merito del Milk fat globule, membrane sulle quali ha indagato un pool di ricercatori svedesi, i cui risultati sono stati pubblicati sull'American Journal of Clinical Nutrition


Latte made in Italy

Altro ci sarebbe da dire sui temi nutrizionali legati al latte, ma ora preme ricordare che dopo molti anni e grazie ai continui progressi realizzati nelle stalle italiane, la produzione di latte è arrivata a coprire i fabbisogni interni.
Dai nostri allevamenti escono ogni anno oltre 13 milioni di tonnellate di latte, prodotto da 2,7 milioni di vacche presenti nelle 25.370 aziende zootecniche che allevano bovine da latte.
La maggior parte di questo latte viene utilizzato per la produzione di formaggi (tante le eccellenze italiane, molte a denominazione di origine).
Per il latte destinato al consumo fresco c'è ora ampia scelta di un prodotto con origine in Italia e con caratteristiche tali da catalogarlo in molti casi nella fascia "alta qualità".


Allevamenti sostenibili

Un risultato raggiunto grazie al continuo miglioramento degli standard di allevamento, che hanno consentito di raggiungere aumenti della produzione a dispetto della continua riduzione del numero di aziende zootecniche in attività.
Produrre di più con meno animali, in aziende dove la prima regola è il rispetto del benessere animale, coincide con un minore impatto ambientale delle imprese zootecniche.

 

Impatto che pesa per solo il 5,53% se si considerano tutte le attività di allevamento (sono i dati Ispra a confermalo) e che scende al 2,58% se i calcoli si riferiscono al solo allevamento da latte.
In realtà l'impatto degli allevamenti può scendere a zero se si tiene conto del sequestro di carbonio da parte dei vegetali destinati all'alimentazione, come dimostrano alcune recenti ricerche.
Senza contare il miglioramento della fertilità dei terreni grazie all'apporto in humus che deriva da quanto residua dal metabolismo animale.


Latte e con orgoglio

Il latte allora fa bene alla salute dell'uomo e l'allevamento dei bovini fa bene all'ambiente.

Bisognerebbe dirlo alla "generazione zeta", che il primo giugno e nei giorni a seguire potrà orgogliosamente ordinare un bicchiere di latte fresco o accompagnare il pranzo al ristorante con un gustoso (e salubre) formaggio.
Senza "vergognarsi".