In questi giorni è diventata obbligatoria l’indicazione della provenienza delle carni per salumi e insaccati, norma pensata per tutelare il consumatore e al contempo ridare forza al mercato suinicolo, da tempo in una situazione di profonda crisi.
Se funziona per i suini, si è pensato, potrebbe servire anche per un mercato dalle minori dimensioni, come quello dei conigli, dove le carni giungono sul mercato prive di indicazione sulla loro provenienza.

Per le carni di coniglio l’informazione sull’origine del prodotto è facoltativa, lasciando che il prodotto di importazione possa confondersi con quello nazionale.
Gli allevatori lamentano che in questo modo si lascia facile gioco a chi favorisce i movimenti al ribasso, importando prodotti a basso prezzo.

Le frequenti oscillazioni di questo mercato sembrerebbero confermarlo e proprio a fine gennaio si è vista una caduta importante (meno 7,9%) che ha portato i prezzi a 2,21 euro al chilo, come si osserva dalle rilevazioni di Ismea.
Quotazioni che restano superiori a quelle dello scorso anno, ma non per questo il segnale risulta meno preoccupante.
 

Prezzi medi settimanali all’origine dei conigli
(Fonte: ©Ismea)


La richiesta

Gli allevatori di conigli chiedono allora che anche per queste carni siano adottate regole analoghe a quelle già in vigore per altri settori, come bovini e suini.
La richiesta è giunta anche sui tavoli di Bruxelles, all’attenzione della commissaria alla Salute Stella Kyriakides, che proprio in questi giorni ne ha dato seguito con una risposta formale.

Come annunciato nella strategia «Dal produttore al consumatore», - si legge nella risposta della Kyriakides - la Commissione valuterà la possibilità di proporre l'estensione a determinati prodotti dell'obbligo delle indicazioni di origine o di provenienza, tenendo pienamente conto degli impatti sul mercato unico.
Tradotto dal politichese europeo, significa che non si esclude la possibilità di giungere a una definizione dell’origine in etichetta per le carni cunicole, ma al momento non se ne fa nulla.
Il perché è sin troppo evidente: da una parte il modesto valore di queste carni nell’economia europea (viene prodotta solo in pochi Paesi) e dall’altra i costi eccessivi per la sua applicazione.


La sicurezza c’è già

Proseguendo nella lettura della risposta di Stella Kyriakides, l’ipotesi dell’origine in etichetta si allontana ancor di più, laddove si precisa che già sono presenti nella legislazione alimentare altri meccanismi che garantiscono la sicurezza e la tracciabilità.
Per di più si ricorda che questi strumenti hanno dimostrato la loro efficacia e che gli Stati membri sono responsabili di assicurare la correttezza di tutto il percorso dalla produzione al consumo.

Un accenno anche alle importazioni, che qualora provengano da paesi terzi e dunque fuori dalla Ue, sottostanno a controlli che ne attestano la conformità agli standard e ai requisiti richiesti per le produzioni comunitarie.
Nemmeno è stata accolta la richiesta di maggiori controlli ai punti di ingresso. Potrà accadere solo in presenza di infrazioni gravi o di pratiche fraudolente.


Allevatori troppo divisi

Dunque gli allevatori di conigli dovranno fare a meno di un’etichetta trasparente.
Ciò non toglie che l’ostacolo possa essere superato favorendo  la diffusione su base volontaria di etichette che mettano in evidenza la provenienza.
Per farlo occorre una buona struttura associativa, adeguata operatività delle organizzazioni di prodotto, allontanamento delle divisioni e dei campanilismi di bottega.
Tutte cose che alla coniglicoltura mancano, e non da oggi.