A un’attenta osservazione di molte voci pubblicate con regolarità sul portale Clal e da una chiacchierata con lo staff, si evince che l’affaire Russia anche nel settore lattiero caseario sta complicando sempre di più lo scacchiere mondiale, modificando gli equilibri internazionali in positivo (ad esempio per la Svizzera, l’Argentina, la Bielorussia) o in negativo, come per tutti i Paesi dell’Ue. Su scala europea, a farne le spese maggiori i mercati delle ex Repubbliche Baltiche e, purtroppo, l’Italia.

Per un mercato come il nostro, deficitario a livello nazionale e col 50% della propria produzione lattiera a formaggi Dop o comunque di qualità, la Russia rappresenta un’incognita a prescindere dall’embargo.

Qualora infatti venisse tolto anche domani mattina, è legittimo dubitare sull’attuale capacità di spesa dei consumatori russi, alla luce di un deprezzamento del rublo sull’euro che in 12 mesi ha sfiorato il 35,5% a tutto svantaggio delle quotazioni attuali. Quanti saranno i russi in grado di acquistare formaggi Dop, che hanno prezzi superiori di vendita rispetto a proteine omologhe (se eliminiamo la variabile qualità e ci fermiamo alla voce nutrizionale) che costano meno?

Le nubi sul futuro delle Dop italiane si potranno dissolvere non appena si riprenderà dalla crisi la popolazione russa. Intanto, chiuse le dogane per i prodotti lattiero caseari dall’Unione europea, altri Paesi stanno occupando gli spazi lasciati liberi da agosto-settembre, data di avvio dell’embargo in risposta alle sanzioni Ue.

Fra gennaio e settembre 2014 l’export di formaggi dall’Ue alla Federazione Russa è stato di 133.491 tonnellate, il 19,9% in meno rispetto allo stesso periodo del 2013. Un crollo destinato ad amplificarsi, perché i flussi commerciali si sono interrotti, e lo potrebbero essere fino a marzo, quando i 28 Paesi dell’Europa voteranno se confermare o meno le sanzioni.
In compenso, dallo scorso agosto hanno aumentato i volumi verso Mosca la Bielorussia, in particolare, e l’Argentina. Due Paesi, uno al confine con la Russia e legato ad essa nell’Unione Economica Eurasiatica, l’altro praticamente agli antipodi, che hanno incrementato le vendite anche di burro, in questo caso insieme alla Nuova Zelanda.

Come era prevedibile, anche la Svizzera ha accelerato i ritmi di vendita dei propri formaggi e dalle 28 tonnellate del mese di giugno i volumi sono diventati 33 tons a luglio, 84 tons ad agosto, 160 tons a settembre e 256 tons nel mese di ottobre. A valore, la scalata è partita da un export pari a 473mila dollari a giugno, per innalzarsi gradualmente a 584.000 dollari a luglio, 1.222.000 dollari ad agosto, 2.224.000 a settembre, 3,5 milioni di dollari a ottobre. In chiave di performance, siamo a un +136,73% sullo stesso periodo del 2013.
Dove si soffre, invece, è nei confini dell’Impero (?) Ue. Il prezzo del latte è in flessione e il trend, se non si prendono provvedimenti urgenti – sollecitati già lo scorso aprile e riproposti pochi giorni fa dagli agguerriti produttori irlandesi di latte (Icmsa), per mezzo del suo presidente John Comer.

L’Ue dovrebbe responsabilmente guardare al sostegno dei prezzi del latte – ha detto Comer dopo un incontro col commissario all’Agricoltura, Phil Hogan aumentando immediatamente il prezzo di intervento per il prezzo del burro e del latte scremato in polvere, su un livello sufficiente a coprire i costi di produzione. Allo stesso tempo, sarebbe opportuno considerare gli aiuti all’ammasso privato e il rimborso per le esportazioni private”.

Si delineerebbe inoltre come necessaria l’adozione di un programma per stabilizzare il mercato durante i periodi di debolezza, in relazione al sostegno dei prezzi del latte. In ogni caso, ha assicurato il numero uno degli allevatori irlandesi, “non si parla di reintroduzione delle quote latte e nemmeno deve essere interpretato come tale”.
Almeno sulla necessità di innalzare l’asticella dei prezzi di intervento (facendo presente che il ricavo dal prezzo attuale di mercato per la polvere e il burro è di 25 euro per 100 kg, mentre il prezzo di intervento del burro è di 246,39 euro/100 kg e del latte in polvere è di 169,8 euro/100 kg) non è l’unico a pensarla così.

Va detto, per non ingenerare false aspettative, premettere che gli aiuti sarebbero destinati solamente ai mercati nazionali con una produzione eccedentaria rispetto al fabbisogno interno. L’Italia ne rimarrebbe pertanto esclusa.
Eppure, potrebbe essere sufficiente rendere operative queste ipotesi, per frenare la caduta nel baratro dei prezzi del latte, così rattrappitisi in questi mesi da aver creato un pericolo aggiuntivo al nostro Paese, che dopo i fiumi di latte dall’estero sta iniziando a fare i conti con la comparsa (o l’avanzata) di formaggi provenienti da oltreconfine. Dalla Germania e Francia, e la cosa non sorprende, ma anche dal Regno Unito!
Prezzi di intervento ristabiliti sulla convenienza farebbero sì che in Germania, o negli altri Paesi dove tradizionalmente il rubinetto del latte gocciola verso l’Italia, si deviasse la produzione di latte per le polveri e non in cisterna al di sotto delle Alpi.

Cosa ci si aspetta dall’Osservatorio latte creato appositamente negli uffici di Bruxelles? Secondo gli analisti è doveroso un passaggio successivo rispetto alla mera raccolta e divulgazione dei dati. Una loro lettura con un orientamento prevalente al mercato. Che si rendessero cioè strumenti operativi per affrontare i momenti più complessi della congiuntura comunitaria.