Cambia il vento in Europa e oggi, a venti anni di distanza dalle barricate agli Ogm, il 79% dei partecipanti a una consultazione pubblica organizzata dalla Commissione Europea ritiene che le odierne norme della legislazione sugli Ogm non siano adeguate per le piante ottenute mediante mutagenesi mirata o cisgenesi.

 

L'obiettivo della Commissione Ue era raccogliere i pareri di cittadini, associazioni, imprese e mondo accademico sull'impiego delle nuove tecniche genomiche (Ngts), frutto della ricerca biotech degli ultimi decenni.

 

Ebbene, la consultazione pubblica ha analizzato 2.200 contributi ricevuti da 23 Stati membri dell'Ue e da 28 Paesi non Ue. I risultati sono apparsi chiari: il 61% di coloro che hanno risposto alla consultazione si è espresso a favore di un approccio alla valutazione del rischio diverso da quello attuale nel quadro degli Ogm. Di questi, in particolare, il 34% ritiene che la valutazione debba avere requisiti adattati alle caratteristiche e al profilo di rischio di una pianta.

 

Molto sentito il quesito nel nostro Paese: il 23% dei partecipanti è, infatti, di cittadinanza italiana, il secondo Paese più rappresentato alle spalle della Germania.
È il segnale che è giunto il momento di seppellire l'oscurantismo che ha accompagnato per diversi anni la ricerca in agricoltura, soffocata da posizioni che, col tempo, si sono rivelate antistoriche. Un'altra lettura, più prudente, potrebbe in effetti sottolineare che sono gli stessi Ogm ad essere stati superati da nuove modalità di innovazione, che l'opinione pubblica accetta con maggiore apertura mentale.

 

Quello che è certo è che l'agricoltura, e con essa la ricerca, devono rispondere a una popolazione mondiale in aumento, con l'esigenza di incrementare le produzioni e, allo stesso tempo, fronteggiare cambiamenti climatici che stanno esasperando fenomeni quali siccità ed elevate temperature, con la conseguenza anche di dover fare i conti con nuovi patogeni, nuovi insetti, fenomeni nuovi per i quali è richiesta una nuova resilienza.

 

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Il commento di Marco Aurelio Pasti

"L'apertura dei cittadini europei è sicuramente una notizia che fa piacere e che conferma che c'è la volontà di andare avanti sulla ricerca" commenta Marco Aurelio Pasti, storico produttore di mais del Nord Est, accademico dei Georgofili e oggi presidente di Confagricoltura Venezia. "Allo stesso tempo bisogna fare chiarezza e insistere per un nuovo approccio alla scienza, perché continuiamo a parlare di un metodo e non di un prodotto. Dovremmo, invece, guardare più alle caratteristiche del prodotto ottenuto che non al metodo con cui si è raggiunto l'obiettivo".

 

"Oggi abbiamo sdoganato le Tea, le Tecniche di Evoluzione Assistita - prosegue - ma non credo che da sole bastino per raggiungere alcuni risultati in termini di ricerca. Ad esempio, non sono così sicuro che le Tea riescano a ottenere piante di mais resistenti alla piralide o alla cercospora della barbabietola. E non vorrei che, se fra dieci anni cambiassero le tecniche, si tornasse indietro nel dibattito guardando appunto solo al metodo di ricerca e non invece agli obiettivi".

 

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Quali potrebbero essere le priorità per l'agricoltura italiana o padana? "Sicuramente avere un mais resistente alla piralide o alle fumonisine o aflatossine" elenca Pasti. "Ma anche ottenere piante più resistenti alla siccità o alle elevate temperature o, ancora, piante in grado di sintetizzare al massimo l'apporto di azoto, così da ridurne l'impiego. Un altro risultato interessante, e questo credo si possa raggiungere con le Tea, potrebbe essere un riso resistente al brusone".

 

La ricerca va avanti in tutto il mondo. "In Argentina hanno incrociato un set di geni del girasole nel frumento e nella soia per ridurre lo stress idrico delle piante" ricorda Pasti, per molti anni presidente dell'Associazione Maiscoltori Italiani. "In Kenya e nelle Filippine hanno aperto agli Ogm, vuoi per gli alti costi dei cereali vuoi per una maggiore resistenza della pianta o, ancora, per incrementare le produzioni locali e ridurre le importazioni in una fase di incertezza degli scambi".

 

La Cina accelera sugli Ogm

Il futuro è senza dubbio nell'innovazione e il miglioramento genetico è uno dei fattori chiave. La stessa Cina, dove vive quasi il 20% della popolazione globale con appena l'8,5% della terra agricola del mondo, è chiamata a trovare modi alternativi per raccogliere più cibo da ogni ettaro seminato. L'ex Celeste Impero ha concentrato molti sforzi su ricerca e sviluppo, al punto che lo stesso Governo di Pechino ha definito le sementi all'avanguardia come "i microchip dell'agricoltura".

 

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Anche l'approvazione di sementi geneticamente modificate sembra accelerare: all'inizio del 2022, il Ministero dell'Agricoltura e degli Affari Rurali di Pechino - secondo quanto riportato dai media - ha rilasciato certificati di sicurezza a tre sementi di mais geneticamente modificate di Syngenta, a un seme dell'Azienda nazionale Hangzhou Ruifeng Bio-Tech Company e a diverse altre sementi messe a punto da università cinesi.
E lo scorso giugno, il Ministero dell'Agricoltura ha pubblicato per la prima volta delle linee guida che potrebbero aprire la strada alle aziende per avviare la produzione commerciale di prodotti geneticamente modificati.