Stop alle pratiche sleali

Tutelare gli operatori che praticano comportamenti corretti in ogni comparto delle filiere agroalimentari italiane. E’ questo l’obiettivo della direttiva europea sulle pratiche sleali, che attende di essere applicata nel nostro Paese.
Un percorso complesso che richiede il coinvolgimento di tutte le categorie interessate, dai produttori agricoli alle imprese di distribuzione.
Un primo passo intanto è stato fatto e ne dà notizia “Il Resto del Carlino” dell’8 marzo che riferisce dell’incontro fra le molte sigle del comparto distributivo e quello delle organizzazioni agricole.

Le difficoltà della pandemia hanno favorito la ricerca di un dialogo costruttivo in ogni comparto della filiera agroalimentare.
Tra i punti principali, ricorda l’articolo, l’intesa che rigetta l’uso delle aste on line al doppio ribasso, riconsidera il tema delle vendite sottocosto limitandole a casi specifici, introduce specifiche sui pagamenti e rimanda a un Ente incaricato dell’applicazione e controllo della normativa.
L’articolo si conclude con il soddisfatto commento delle organizzazioni che rappresentano le aziende della distribuzione, convinte che dall’accordo si otterrà una valorizzazione del made in Italy, insieme alla tutela di lavoratori e imprese del settore.
 

C’è sostenibilità in agricoltura

Si chiama Rapporto Agricoltura100 ed è promosso da Reale Mutua in collaborazione con Confagricoltura e realizzato da Innovation Team del gruppo Cerved.
La sua finalità è quella di verificare l’impegno delle aziende agricole italiane nei diversi ambiti della sostenibilità.
I risultati dicono che nei riguardi di questo tema è impegnato il 48% delle aziende. Tanta attenzione è motivata dalla constatazione che la sostenibilità aiuta le imprese agricole a crescere, rendendole più innovative e competitive.

L’indagine, come spiega in dettaglio il “Corriere della Sera” del 9 marzo, ha coinvolto 1.850 imprese agricole di tutti i comparti produttivi e regioni d’Italia, dalla cui analisi è emerso che il 17,8% delle imprese ha un livello di sostenibilità alto e il 30,3% medio-alto, senza grandi differenze tra aree geografiche.
Michelangelo Borrillo, che firma l’articolo, segnala che l’impegno per la sostenibilità caratterizza tutte le fasce dimensionali, con punte più elevate (80%) in quelle più grandi, dove il livello di sostenibilità è medio alto.
Stesso ottimo livello lo si riscontra anche in oltre il 34% delle aziende più piccole.
 

La Pac senza inganni

La promessa è quella di una semplificazione nella gestione delle domande di accesso ai pagamenti a superficie della Pac, la politica agricola comunitaria, che comprendono contributi del primo pilastro e quelli legati ad alcune misure agroambientali.
Tutto merito dell’entrata in funzione del sistema unico di identificazione delle parcelle agricole tramite dispositivi digitali che impiegano applicazioni grafiche e geo spaziali.
L’applicazione del nuovo sistema consentirà anche di limitare i contenziosi. Il tutto è previsto nel decreto del Mipaaf in applicazione delle disposizioni previste dalle norme sulla “semplificazione”.

Come spiega Ermanno Comegna nell’articolo a sua firma pubblicato su “Italia Oggi” del 10 marzo, è prevista la costituzione di un registro unico nazionale delle parcelle agricole, basato su un archivio di ortofoto provenienti dalle riprese aree e satellitari.
Chi gestisce la redazione delle domande avrà così la possibilità di acquisire tute le informazioni necessarie sulle superfici ammissibili ai contributi comunitari.
Per gli agricoltori scatta l’obbligo di costituire e aggiornare il fascicolo aziendale, dichiarando consistenza e piani colturali.
Un eventuale controllo incrociato che evidenziasse discrepanze porterà alla correzione del contributo da erogare.
 

AAA, manodopera cercasi

Con l’avvicinarsi della stagione dei raccolti si ripresenta il problema della scarsità di mano d’opera, che già con la chiusura delle attività nella primavera del 2020 aveva messo in crisi le aziende agricole.
Il caldo, scrive Annamaria Capparelli sulle pagine del “Quotidiano del Sud” dell’11 marzo, sta anticipando la raccolta delle primizie, che rischiano di finire al macero per la carenza di lavoratori per la raccolta.
Il Marocco, dal quale arrivano molti stagionali, ha infatti sospeso i collegamenti con l’Italia e così ortaggi e frutta, soprattutto nelle campagne del Sud, sono a forte rischio.
Difficile anche l’arrivo di stagionali europei per la difficoltà negli spostamenti causata dalla pandemia.
I quasi 400mila occupati necessari per le operazioni di raccolta provengono in situazioni normali per la maggior parte dalla Romania, seguita dal Marocco, dall’India e dall'Albania e coprono circa il 30% delle giornate di lavoro necessarie.

Ora gli occhi sono puntati su Bruxelles dove il 17 marzo si deciderà il “digital green pass” con il quale agevolare gli spostamenti per motivi di lavoro.
In questa situazione, che preoccupa molto i produttori agricoli, si riaffaccia la richiesta di attivazione dei voucher, strumento utile per dare lavoro in modo trasparente a studenti e persone in difficoltà economiche.
In assenza di un percorso semplificato, si teme che si offrano opportunità per il malaffare, sospinto anche dalla necessità di contenere i costi per soddisfare la politica di bassi prezzi imposta dalla distribuzione organizzata.
A questo proposito, conclude l'articolo, sarebbe necessaria una equa distribuzione del valore nella filiera, evitando le aste al doppio ribasso, già vietate in altri Paesi.
 

Il futuro del vino

Il mondo del vino, pur subendo il colpo, ha retto all’ondata pandemica, ma il futuro resta incerto e con molte insidie.
E’ su questi temi che “Il Foglio” del 12 marzo ha raccolto il parere di Andrea Sartori, del Consorzio Italia del Vino, intervistato da Tommaso Caldarelli.
Interrogato su come siano mutate le abitudini dei consumatori, Sartori ha ricordato che il consumo interno transita per il 60% dalla distribuzione organizzata e per un 30% dal canale della ristorazione collettiva.
Quel che resta va nel dettaglio e nel commercio elettronico.
Difficile allora un recupero significativo sino a quando la pandemia non allenterà la presa.

Parlando poi delle politiche per il superamento della crisi, c’è un forte appello affinché siano stanziate risorse per un aumento delle nostre quote di mercato sui mercati esteri.
I Paesi ove si concentra la maggior parte del fatturato per i vini italiani sono gli Usa, la Germania, l’Inghilterra, il Canada e la Svizzera.
Mercati su quali i protagonisti sono quelli di sempre, con nomi importanti come il Chianti, il Brunello in Toscana o il Barolo in Piemonte.
Senza dimenticare, conclude l'articolo, i volumi impressionanti di Prosecco del Veneto.
 

Etichette in pericolo

Da tempo in Italia è prevista l’indicazione dell’origine su molti prodotti agroalimentari e fra questi il latte e i prodotti derivati.
Accade la stessa cosa in Francia, ma ora il Consiglio di Stato francese ha sentenziato che questo obbligo non è dovuto in quanto non esiste un legame provato tra la sua origine (Ue o non Ue) e le sue proprietà.
Questa pronuncia, scrive Luigi Chiarello su “Italia Oggi” del 13 marzo, rischia di ripercuotersi anche in Italia coinvolgendo i quattro decreti interministeriali con i quali si impone l’obbligo di dichiarare l’origine non solo per il latte, ma anche per il grano duro nella pasta di semola, per il pomodoro nelle salse e per il riso. Ai quali si sono aggiunti da inizio anno anche i salumi.
Questi decreti, ricorda l’articolo, sono stati prorogati sino alla fine di questo anno, in attesa dell’entrata in vigore dei regolamenti comunitari in materia.

In Francia la sentenza del Consiglio di Stato prende le mosse dal contenzioso acceso dal gruppo Lactalis, che come noto opera anche in Italia.
Dopo vari passaggi si è giunti alla Corte di giustizia europea, che nella sua pronuncia ha evidenziato la necessità di un legame fra le proprietà di un alimento e la sua origine. Che secondo il giudice francese non esiste nel caso del latte.
Un precedente che potrebbe coinvolgere anche il latte italiano.
 

Aste al ribasso, ora basta

A proposito di etichette e di origine delle materie prime, una recente ricerca di Nomisma evidenzia che il 60% dei consumatori sceglie i propri acquisti in base all’origine italiana dei prodotti. Il rimanente 40% si lascia invece guidare dal prezzo.
Un altro studio, questa volta di Ismea, dice poi che su un euro di spesa in frutta e verdura, solo 22 centesimi arrivano all’agricoltore, il che significa che nel percorso dal campo alla tavola si ha un ricarico del 354,5%.

E’ questa la conclusione alla quale arriva Attilio Barbieri nell’articolo pubblicato il 14 marzo su “Libero”, ricordando che una cosa analoga accade e in misura anche maggiore in altre filiere.
E’ il caso dei salumi dove per un euro di spesa arrivano all’allevatore di suini appena due centesimi. E si continua con altri esempi, dai formaggi al pane.
Il fenomeno, spiega l’articolo, prende origine dalle aste al doppio ribasso, dove si selezionano con una prima asta gli offerenti con i prezzi più bassi. Poi fra quelli che risultano “vincitori” si lancia un’ulteriore gara al ribasso.

A rimetterci, come intuibile, è sempre il produttore. “Queste politiche commerciali aggressive - si legge nell’articolo - sono fra l’altro all’origine di posizionamenti distruttivi per taluni prodotti, utilizzati nel tempo come esca per i consumatori.
Va salutato dunque con soddisfazione il primo via libera in Commissione agricoltura del Senato della legge che vieta le gare al doppio ribasso, che strangolano gli agricoltori con prezzi al di sotto dei costi di produzione e in questo modo alimentano indirettamente la piaga del caporalato.
"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
Ogni lunedì uno sguardo agli argomenti affrontati da quotidiani e periodici sui temi dell'agroalimentare e dell’agricoltura, letti e commentati nell'Edicola di AgroNotizie.

Nel rispetto del Diritto d’Autore, a partire dal 23 novembre 2020 non è più presente il link all’articolo recensito.

Questo articolo fa parte delle collezioni: