Un'eventuale uscita dall'euro da parte della Grecia non dovrebbe preoccupare particolarmente le imprese agroalimentari italiane".

A dirlo un'analisi condotta da Nomisma, e in particolare da Andrea Goldstein e Denis Pantini, ricercatori del centro studi economici bolognese, sull'impatto che una possibile uscita dall'euro della Grecia avrebbe sul settore agroalimentare italiano.

Tuttavia, sottolinea una nota di Nomisma, si rischia "paradossalmente di limitare i possibili effetti positivi derivanti da una svalutazione competitiva per le stesse imprese greche. La capacità esportatrice dell'agroalimentare ellenico è sostanzialmente contenuta, e a causa della dipendenza dall'import per i principali input produttivi, una svalutazione si tradurrebbe in costi superiori per le imprese”.

Bisogna infatti ricordare che la Grecia assorbe meno del 2% dell'export delle imprese agroalimentari italiane, mentre al contrario l'Italia rappresenta il principale mercato di sbocco per le aziende greche. Per Nomisma, “un'eventuale uscita della Grecia dell'euro e il ritorno della dracma renderebbe indubbiamente più costose le importazioni dall'Italia, con il rischio di una loro eventuale sostituzione con prodotti nazionali. In più la svalutazione renderebbe più convenienti i prodotti ellenici rispetto a quelli dei diretti concorrenti. La minaccia di una svalutazione non è però particolarmente grave per le nostre imprese esportatrici. Il paniere di prodotti esportati dalla Grecia differisce notevolmente dal nostro e anche per quanto riguarda i mercati di destinazione non si rileva una significativa sovrapposizione”.

Più negativo il commento di Coldiretti. “L'ipotesi di uscita dall'euro da parte della Grecia e quindi una successiva svalutazione della moneta favorirebbe l'invasione di pesce, frutta e olio, che, anche per effetto della crisi, ha praticamente sommerso la Penisola del proprio olio di oliva, con un aumento delle importazioni del 569% nel primo trimestre 2015. La Grecia è il secondo fornitore di olio di oliva dell'Italia dopo la Spagna e prima della Tunisia, e contribuisce in misura determinante al record storico registrato nel 2015 nelle importazioni di olio di oliva dall'estero. A favorire le importazioni è senza dubbio il calo produttivo di oltre il 35% registrato per i raccolti nazionali con una produzione che è scesa nel 2014 sotto le 300mila tonnellate”.