Era solo il giugno scorso quando l’Unesco, acronimo di “Organizzazione delle nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura”, riconobbe per la prima volta un paesaggio vitivinicolo italiano fra i patrimoni dell’umanità “[...] per la sua eccezionalità rurale e culturale”.
Il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, non esitò a definire l’evento come un chiaro riconoscimento della “[...] essenzialità dell’agricoltura e degli agricoltori quali sentinelle nella conservazione del paesaggio”.
Del resto, chi conosce un minimo le meravigliose colline vitate di Langhe, Monferrato e Roero non aveva certo bisogno che si esprimesse l’Unesco per sapere tutto ciò. Anzi, a voler essere schietti del tutto vi è semmai da stupirsi perché la prestigiosa organizzazione internazionale si sia svegliata solo ora. E invece...
Passa poco più di un mese dal lieto riconoscimento e dall’altra parte del Nord Italia la viticoltura viene presa a schiaffi per motivi diametralmente opposti a quelli perorati dall’Unesco: le vigne sarebbero causa di disastri idrogeologici, devasterebbero il paesaggio e causerebbero morti e distruzioni. La tragedia di Refrontolo, in Provincia di Treviso, ha riattizzato infatti le usuali polemiche che giungono sulle spalle dei soliti viticoltori da parte degli altrettanto soliti “cittadini”, i cui comitati “anti-Prosecco” non perdono occasione per attribuire alle bollicine trevigiane ogni tipo di responsabilità, anche la più infamante. Ma le cose sono davvero così come vengono descritte? Guardando i fatti dalla parte dei numeri, non pare proprio.

Sull’esondazione di Molinetto della Croda già altri hanno commentato, mettendo i debiti puntini sulle “i”. Inutile quindi ripetere i concetti quando li si trovi ampiamente condivisibili. Tanto vale fornire ai lettori i link ove andarseli a leggere nel formato originale. Pure un emblematico servizio televisivo è stato reso dal TG3 delle ore 19 del 5 agosto 2014, ove dal minuto 23':30"  si parla proprio del disastro di Molinetto. Giuseppe Della Colletta, proprietario dell'azienda viti-vinicola Colvendra, mostra i danni arrecati dalle piogge torrenziali. Nei due crinali ripresi dall'alto, uno vitato, l'altro boschivo, gli smottamenti hanno interessato il secondo lasciando intonso il primo. A dimostrazione che un terreno gestito oculatamente dall'Uomo può essere perfino più stabile e sicuro di uno lasciato in toto alla discrezionalità della Natura.

Alluvioni e un po' di storia


Fatte salve le testimonianze di cui sopra, chi scrive si è quindi interrogato su altri aspetti, di tipo più che altro storico, geografico e statistico. Questo perché i disastri di questo tipo sono alquanto ricorrenti e il più delle volte colpiscono aree ove di vigne ve ne sono dal poco al nulla. Di certo, non hanno colpa i viticoltori per l’alluvione che colpì Genova il 4 novembre del 2013. Né si può tacciare femminelle e polloni di esser la causa dei disastri che colpirono le Cinque Terre, in Liguria, nel 2011, oppure la bassa Brianza nel luglio 2014. Pure inesistente pare il legame fra le vigne e le decine di sfollati che hanno dovuto abbandonare Sonico, in Valcamonica, a seguito dell’esondazione del torrente Re.
Infine, è ben lungi dall’essere considerata area fortemente viticola la Sardegna centrale, ove nel novembre 2013 persero la vita 18 persone a causa delle violente inondazioni. Forse, qualche ruolo ce l’ha magari avuto la pioggia, di cui in 24 ore ne sarebbe venuta quanta normalmente ne cade in molti mesi. In tale occasione – e per fortuna vista la gravità dei fatti - tacquero i variopinti pasionari “No-Vign”, i quali furono purtroppo rimpiazzati dai sempre più rumorosi complottisti paranoici delle cosiddette “scie chimiche”, per i quali l’evento sardo altro non sarebbe stato se non un esperimento militare di gestione del clima. Della serie: quando si pensa di aver toccato il fondo della psiche umana, si può sempre scavare.
 
Appurato quindi che gli eventi estremi, figli del dissesto idrogeologico da una parte e di un meteo vieppiù violento dall’altro, sono sempre più diffusi, vediamo ora in Provincia di Treviso cosa ci dicono i numeri del territorio. Perché alla fin fine son sempre loro che dovrebbero avere l'ultima parola.

Una Provincia alla lente


Dal 1871 a oggi la popolazione trevigiana è cresciuta da 360 mila abitanti a quasi 900 mila del 2011. Un secco +250%. Tutte persone che ovviamente mangiano, vestono, vogliono una casa e guidano una macchina.
Tanto per fare un paragone a livello nazionale, nel 1951 in Italia vi erano poco più di 146 mila autovetture circolanti, mentre nel 2004 si sono sfiorati i tre milioni e 300 mila veicoli. Un aumento di oltre venti volte. Solo nel 2013 di automobili in Provincia di Treviso se ne sono infatti immatricolate oltre 18 mila, le quali sono andate a infoltire un parco macchine provinciale forte di quasi 552 mila unità. E più automobili significa anche più strade asfaltate e parcheggi. Infatti, le vetture trevigiane si muovono oggi su una rete stradale di oltre mille e 600 chilometri, i quali espressi come superficie diventano circa  800 ettari, anche considerando una larghezza media prudenziale di soli cinque metri.
Treviso compare peraltro nelle dieci province più cementificate d’Italia, con un sonoro 19% del proprio territorio coperto da case, piazzali, centri commerciali, zone industriali e simili. Visto che si parla di una superficie provinciale complessiva di 2.477 km² , significa che circa 470 di questi sono divenuti impermeabili alle piogge. In pratica, ogni Trevigiano “possiede” (e ha generato) oltre 520 m2 di territorio cementificato.

Quante sono invece le vigne in generale e quanto i vigneti a “Prosecco” in particolare?
I vigneti coprirebbero circa il 12,1% del territorio provinciale, l’8% la sola Glera, ovvero la varietà da cui si ricava il Prosecco. Un numero sicuramente importante. Risulterebbero infatti 30 mila ettari vitati in Provincia di Treviso, di cui oltre 20 mila sarebbero investiti a Glera. Tradotto in superfici a persona, diventano circa 330 m2 di vigna a testa e poco più di 220 m2 pro-capite se si parla specificatamente di Glera.
 

Conclusioni

 
Per ogni metro quadro di vigneto pro-capite, gli abitanti della Provincia di Treviso “possiedono” quindi 1,6 m2 di superfici cementificate e/o asfaltate. Tradotto in altri termini, con le accuse rivolte alla viticoltura di attentare agli equilibri idrogeologici della Provincia trevigiana si commette un doppio errore. In prima battuta si focalizza l’attenzione su attività umane che occupano meno territorio di altre. Vizio questo molto comune fra chi abbia poca dimestichezza coi numeri e con il banale buon senso. In secondo luogo, ci si dimentica che mentre cemento e asfalto rendono i terreni impermeabili, esaltando l’intensità delle esondazioni, i vigneti nient’altro sono che dei “simil-boschi” antropizzati. La biodiversità di un vigneto è sicuramente più bassa rispetto a una brughiera "naturale", è vero, ma se quel vigneto risulta inerbito e ben curato di tutto può essere accusato tranne che di danneggiare il territorio, di esaltare i fenomeni erosivi e di peggiorare il profilo idrogeologico di un comprensorio. Le immagini riprese nel servizio del Tg3 sopra citato parlano infatti da sole.

Se però vi fosse disaccordo con quanto appena scritto, sarà meglio che ci vada qualcun altro a dire all’Unesco che ha preso una cantonata e che come patrimonio dell’Umanità avrebbe dovuto eleggere i centri commerciali, le strade asfaltate, le zone industriali e i quartieri residenziali. Ovvero quelli dove abita la maggior parte degli accaniti contestatori “No-Prosecco”. Sempre quelli, tanto per intendersi, che tra una protesta e l’altra tirano fuori l’auto dal box e fanno svariati chilometri su ben poco romantici “nastri d’asfalto”. Tutti, o quasi, devono infatti portare i figli a scuola, oppure andare a lavorare in fabbriche e uffici, oppure ancora devono fare la spesa nei supermercati e qualche volta vanno pure a divertirsi in qualche locale del centro.
Magari bevendo proprio quel Prosecco di cui poi dicono peste e corna appena posato il bicchiere…
 
Ultim'ora: leggi le conclusioni dei tecnici che hanno periziato la tragedia di Refrontolo