Secondo la Fao il contributo alla produzione di gas climalteranti da parte dell'agricoltura si aggira sul 14%, con una forte incidenza delle produzioni animali.
Un dato mondiale che riflette situazioni assai distanti da quella italiana, come testimoniano le analisi di Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Secondo questo istituto l'impatto ambientale del settore agricolo si ferma al 7%, con una quota del 5,3% da ascrivere alla zootecnia nel suo complesso.
Entrando nei dettagli, limitatamente alla produzione di carne, l'allevamento dei bovini da carne pesa per il 31,8% e quello dei suini per il 12%, mentre gli avicoli si fermano al 3,3%.


Il perché del maggiore impatto ambientale dei bovini è legato al loro particolare metabolismo di ruminanti, che all'efficienza nella trasformazione di alimenti indigeribili per l'uomo, come lo possono essere fieni e pascoli, associa la produzione di metano derivante dalle fermentazioni che avvengono nel rumine. 


Allevatori “innocenti”

Il problema è noto da tempo, tanto che si sono moltiplicati gli studi sulle strategie atte a ridurre la produzione di metano senza compromettere l'efficienza produttiva degli animali e i risultati sono incoraggianti.
Un impegno che può apparire persino eccessivo, se si tiene conto che nel bilancio dell'impronta carbonio dell'allevamento bovino il risultato finale può giungere ad essere positivo, essendo maggiore la quota di carbonio sequestrata da colture e pascoli, rispetto a quella emessa dagli animali.
Nonostante ciò, forte è l'attenzione degli allevatori ai temi ambientali, come pure è sensibile il loro impegno nel migliorare la sostenibilità delle produzioni animali.


La sostenibilità a valle

L'impegno verso una maggiore sostenibilità ambientale non si ferma tuttavia alla sola fase di allevamento, ma coinvolge necessariamente tutta la filiera delle carni, anche nelle fasi successive di lavorazione e trasformazione.
Per fare il punto sull'adozione di pratiche sostenibili da parte delle imprese, Altis, Alta scuola impresa e società dell'Università Cattolica in collaborazione con il progetto interfacoltà Vis – Valore Impresa Sostenibile e Opera - Osservatorio europeo per l'agricoltura sostenibile, ha svolto un'indagine interdisciplinare prendendo in esame un campione di 46 aziende di dimensioni medie e grandi.


Valore strategico

I risultati sono stati al centro di un recente incontro, nel quale è stato messo in evidenza che circa un terzo delle imprese (30,4%) è consapevole di come la sostenibilità possa essere un vantaggio competitivo e un asset strategico di crescita.
Come intuibile, l'indagine ha confermato come siano le grandi imprese quelle dove il tema della sostenibilità è a livelli più avanzati, sebbene anche fra le piccole e medie aziende si possano riscontrare esperienze significative in questa direzione. 

 

La crescente sensibilità del settore a questo tema trova conferma nella pubblicazione di un report di sostenibilità o ambientale in quasi il 20% delle aziende esaminate e quasi sempre su base volontaria.
Più diffusa la comunicazione via web, utilizzata da circa la metà del campione esaminato, dove si affronta anche il tema della sostenibilità, sebbene il messaggio predominante sia rivolto alla promozione e alla relazione con i consumatori. 


La “transizione sostenibile”

Le imprese della filiera dei prodotti di origine animale sono dunque al lavoro per una “transizione sostenibile”, ma siamo solo all'inizio di un percorso che potrà trovare accelerazione nel progetto Farm to Fork (che va ripensato però in chiave strategica sul fronte della produzione agricola e zootecnica) e dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
La sempre maggiore attenzione del consumatore verso prodotti ottenuti nel rispetto dell'ambiente è l'altro elemento chiave.
Ma resta da risolvere il nodo del prezzo oltre a quello della riconoscibilità e tracciabilità


Occorre un professionista

Un aiuto ad accelerare verso questa “transizione” potrebbe giungere dalla presenza nelle imprese di profili professionali in grado di integrare competenze produttive, ambientali ed economiche mirate alla ottimizzazione dei principi della sostenibilità.
Si potrebbero definire “consulenti della sostenibilità”, in grado di accompagnare, e in questo Altis può vantare già esperienze positive, le imprese in percorsi di sostenibilità o di rendicontazione non finanziaria, supportando la messa a punto di piani strategici e la pubblicazione di bilanci di sostenibilità.


La parola al mercato

Che questa sia la strada per il futuro ve n'è certezza.

Sui tempi per raggiungere l'obiettivo rimane invece l'incertezza.
Un ruolo chiave lo giocherà il mercato, premiando il lavoro di quanti più si impegneranno in questa direzione.
La prima parte della filiera, quella che fa capo agli allevamenti, ha già dato prova di responsabilità e oggi la zootecnia italiana è presa a esempio come modello di efficienza sostenibile.
Ora la palla passa alle fasi a valle della produzione, per completare un percorso che è già ben avviato, come le analisi di Altis, Vis e Opera hanno confermato.