La produzione di frutta fresca in Campania cambia pelle ed esprime oggi un notevole potenziale che non sempre i prezzi di mercato valorizzano. Quello della Campania è un caso di scuola perché qui, benché abbiano sede oltre il 10 per cento delle Op Italiane, la sensazione è quella di essere sempre all’anno zero.

 AgroNotizie ne parla con un protagonista della scena frutticola campana: Michele Pannullo, frutticoltore, presidente di Confagricoltura Campania, che qui parla come coordinatore regionale di Agrinsieme e che dice: “Manca la ricerca per l’innovazione varietale e le Op in grado di orientare le produzioni".
 
Presidente Pannullo, quali sono i numeri del comparto frutta fresca in Campania?
"Tra il 2001 ed il 2011, secondo l’Istat, gli ettari coltivati a frutteto in Campania scendono da 70149 a 61650. La superficie in produzione cala da 66418 ettari a 59762. Il che significa che nel 2011 quasi tutto il frutteto campano era in produzione.
Grazie alla capacità delle imprese la produzione di frutta fresca della Campania Felix nel decennio considerato aumenta: dai 7, 2 milioni di quintali del 2001 ai 7,6 milioni di quintali del 2011. Eppure una parte del potenziale lordo vendibile resta sulle piante. E se nel 2001 la produzione effettivamente raccolta era di poco sopra i 7 milioni di quintali, lo stesso dato riferito al 2011 sfiora i 7,3 milioni di quintali.
Nel 2001 la differenza tra la produzione e il raccolto era di poco inferiore ai 200mila quintali, nel 2011 lo stesso differenziale si porta a quasi 300mila quintali. Ciò vuol dire che la superficie investita diminuisce, la produttività ad ettaro aumenta al punto di far crescere l’output, ma sempre più frutta resta sulle piante. Vorrei aggiungere poi un altro significativo dato: in Campania, secondo l’elenco del Mipaaf aggiornato il 30 giugno scorso, sono censite ben 32 Op che operano nell’ortofrutta il 10% di quelle che operano in tutta Italia che sono 308".
 

Gli effetti più recenti della crisi della frutticoltura sono però patrimonio dell’attualità: ondate di frutta proveniente dall’estero, mercati impazziti, prezzi che crollano o si impennano all’improvviso, una volatilità che fa paura alimentata anche da fenomeni esogeni, come Terra dei Fuochi, l’embargo della Russia ed eventi climatici eccezionali -  e che spinge molti agricoltori a cercare nuove strategie. Cosa allora veramente non va?
"I fattori che determinano la crisi del comparto sono vari. Certamente il consumo di frutta è diminuito con la crisi economica ma questo non spiega del tutto l'accaduto. Sicuramente il prodotto che viene dall’estero a prezzi più competitivi crea tanti problemi, ma ciò che contribuisce alla crisi realmente è la mancanza di innovazione varietale che il mercato richiede e gli alti costi di produzione".
 

Innovazione varietale, quando serve e se serve, come va gestita?
"L’innovazione varietale è essenziale oggi. Le Organizzazioni di produttori devono essere in questo protagoniste orientando i piani colturali; essere insomma capaci di orientare la produzione avendo ben presente cosa richiede il mercato e quando lo richiede. Sembra una ricetta semplice e forse scontata, ma vi assicuro che è difficile attuarla".
 

Veniamo alle soluzioni possibili. Che mano può venire dal Programma di sviluppo rurale 2014-2020 sul fronte di una maggiore aggregazione dell’offerta?
"Aggregazione è la parola chiave. Adesione ad organizzazioni di produttori, rafforzamento del loro ruolo e della loro base produttiva, ma anche reti di impresa e cooperazione sono le vie che le nostre imprese devono perseguire e che il nuovo Psr deve agevolare. La misura 16 del nuovo Psr ad esempio va in questa direzione, ma ci sono aspetti da correggere nel programma inviato a Bruxelles non appena partirà il negoziato. Noi comunque crediamo che vada perseguita l’aggregazione, ma soprattutto la buona aggregazione. Personalmente ad esempio sono affascinato dallo strumento delle reti di impresa che consente, pur mantenendo la propria autonomia imprenditoriale, di mettere a fattor comune tutte le potenzialità per sviluppare innovazione e aumentare la competitività sul mercato".
 

Sul Psr Campania 2014-2020 sarà possibile fare interventi per la difesa passiva dalle avversità atmosferiche?
"Innanzitutto finanziare le reti di protezione per le colture di pregio è essenziale. Su questo il nuovo programma di sviluppo deve consentire il riconoscimento della spesa anche in quelle aree e per quelle colture che con il vecchio Programma di sviluppo rurale 2007-2013 non è stato possibile finanziare. Ineludibile è poi sviluppare una forte cultura delle assicurazioni agricole. Ormai assicurarsi diventa essenziale oltre che conveniente dati gli incentivi riconosciuti".
 

Come si può utilizzare la normativa della nuova Pac per il comparto ortofrutticolo?
"Le Op dovrebbero beneficiare di una percentuale più elevata di consegna di frutta da parte dei soci, ma, lo ripeto, esse devono diventare le registe di operazioni “in rete” sul territorio per quanto riguarda gli aspetti strategici come l’innovazione varietale e la programmazione produttiva. Inoltre, ricordo che le Op si vedono delegate come unici attori ad intervenire nei momenti di crisi".
 

Cosa farete come Agrinsieme ora a difesa del comparto?
"Innanzitutto il ruolo delle nostre organizzazioni è quello di diffondere una cultura di impresa che porti sempre più ad una forte aggregazione del prodotto, ad una più spinta innovazione varietale e gestionale e soprattutto contribuire affinché la nuova Pac supporti tale processo per rendere più omogenea domanda ed offerta. Proporremmo infine anche una mobilitazione di Agrinsieme sul tema per concertare azioni di supporto ed aiuto al comparto. La nostra proposta in buona sostanza è che il ministero apra subito un tavolo di confronto con il mondo frutticolo per arrivare a definire un piano di investimenti pubblici nella ricerca per le innovazioni varietali che sia fatto in Italia al fine di colmare il gap con altri Paesi come la Francia e la Spagna".