"È dal 1982 che l'Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha promosso sul piano nutrizionale e della salute, eppure ancora oggi siamo alle prese con le insidie del Nutriscore e l'assenza di un Piano olivicolo nazionale o, almeno, di Piani territoriali che rilancino le produzioni e la biodiversità dell'Italia dell'olio".

 

Il testacoda dell'olio di oliva viene descritto plasticamente nelle parole di Gianfranco Comincioli, olivicoltore di Puegnago del Garda (Brescia) e presidente di Coldiretti Lombardia, alla vigilia del convegno che l'Organizzazione terrà il prossimo 15 luglio proprio a Puegnago del Garda con la presenza (fra gli altri) del presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini, dell'assessore lombardo all'Agricoltura Alessandro Beduschi, del direttore generale di Unaprol Nicola Di Noia, del presidente di Aipol Silvano Zanelli.

 

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Clima impazzito...

Innegabilmente il settore sta attraversando una fase di incertezza e i cambiamenti climatici rappresentano uno dei fattori scatenanti di un calo produttivo nell'area mediterranea (e non solo, visto che in Uruguay la produzione olivicola olearia dovrebbe diminuire, secondo le stime di Asolur, l'Associazione Olivicola Uruguaiana, del 72% rispetto alla media quinquennale degli ultimi raccolti), che ha infiammato i listini e, di conseguenza, portato a una riduzione dei consumi.

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...e crisi dei consumi (in seguito al boom dei prezzi)

L'ultimo report di Ismea, relativo al 2023, parla di prezzi in forte ascesa per l'olio extravergine di oliva (+32%) e di consumi in frenata (-11,7%).

 

Gli effetti del clima impazzito hanno spinto nei giorni scorsi anche il Financial Times ad occuparsi della questione, sottolineando, appunto, un cambio addirittura delle abitudini alimentari nel cuore del Mediterraneo, dove Italia e Spagna, fra i principali produttori di olio di oliva a livello mondiale, sono alle prese con una crisi dei consumi innescata dai prezzi di vendita.

 

È la prima volta, dopo diverso tempo, che nelle ultime due stagioni il clima ha influenzato negativamente le produzioni nel Mediterraneo, dalla Spagna all'Italia alla Grecia. A livello mondiale, in particolare, negli ultimi due anni sono state prodotte a livello globale solo 2,4 milioni di tonnellate, molto al di sotto della tipica domanda annua di 3,2 milioni di tonnellate. Un deficit globale innescato dalla siccità e dalle ondate di calore.

 

Rischio protezionismo

Una contrazione che ha spinto alcuni Paesi a ricorrere al protezionismo, introducendo freni all'export, che non hanno fatto altro che dare una ulteriore scossa rialzista ai prezzi. "Nel tentativo di domare l'inflazione galoppante lo scorso agosto, la Turchia ha imposto un divieto di esportazione sull'olio d'oliva sfuso e in barili, ora parzialmente revocato" scrive il Financial Times. In ottobre anche Siria e Marocco hanno limitato le esportazioni, comprimendo ulteriormente le forniture globali e facendo salire i prezzi.

 

Il boom dei listini è stato rilevato anche dall'Ufficio Statistico dell'Ue, che ha segnalato impennate dei prezzi dell'olio di oliva e aumenti dei prezzi su base annua di oltre il 60% in Portogallo, Grecia e Spagna e del 45% in Italia. A inizio maggio era stato lo stesso ministro spagnolo dell'Agricoltura, Luis Planas, a raccomandare responsabilità nella formazione dei prezzi, intervenendo al Congresso Internazionale su Olio d'Oliva e Salute a Jaén, in Andalusia, sede del più importante Osservatorio dei mercati oleicoli a livello mondiale.

 

Il clima è anche responsabile della diffusione di malattie o di agenti patogeni che in alcuni casi incontrano difficoltà ad essere frenati. Il cambiamento climatico e l'innalzamento delle temperature, spiega Gianfranco Comincioli, "hanno portato al proliferare di alcuni insetti, come ad esempio la cimice asiatica, in particolare in Spagna, che crea la cascola verde delle olive, con danni significativi dal punto di vista quantitativo delle produzioni. E purtroppo sono stati tolti dal mercato i principi attivi più efficaci, tanto che oggi la lotta agli insetti è più complessa, più costosa e, a volte, non sufficientemente in grado di debellare i problemi".

 

"Senza contare - prosegue Comincioli - la Xylella fastidiosa, che sta avanzando e se dovesse arrivare nel barese e nel foggiano sarebbe una tragedia, mettendo a rischio una sfera di produzione molto importante sul piano quantitativo per il nostro Paese".

 

Puntare su ricerca e innovazione

Che fare? "Bisognerebbe investire in ricerca e innovazione, nella meccanizzazione" insiste Comincioli. "Il settore potrebbe contare sulle opportunità offerte dalle Tea, strumento particolarmente utile per salvaguardare la biodiversità italiana, che può contare su un patrimonio di cinquecento cultivar molto interessanti. Dobbiamo migliorare la resistenza delle cultivar rispetto ad alcune fitopatie, alla siccità, in modo da proteggere le produzioni di tutti i territori italiani e salvare l'olio di oliva extravergine italiano".

 

Le produzioni in contrazione hanno innescato, come anticipato, un boom dei prezzi al consumo, con conseguente flessione degli acquisti. Ignacio Silva, amministratore delegato di Deoleo, il più grande venditore di olio d'oliva al mondo per fatturato con marchi come Bertolli e Carbonell, al Financial Times ha dichiarato che con prezzi schizzati verso l'alto vi è una maggiore attenzione da parte del consumatore al consumo.

 

"In Spagna nelle prime venti settimane di quest'anno i consumatori hanno acquistato il 22% in meno rispetto al 2023, secondo i dati del settore. I volumi sono diminuiti del 30% rispetto al 2022, anno in cui i prezzi hanno iniziato a salire", ha riportato il Financial Times.

 

Orientare l'export

I prezzi in crescita stanno influenzando anche un grande importatore come gli Stati Uniti, dove la cultura dell'utilizzo dell'olio di oliva in cucina è largamente inferiore rispetto all'area mediterranea, che ha alle spalle una tradizione millenaria di consumo. E se, come ha ricordato l'amministratore delegato di Deoleo, Ignacio Silva, "nuovi consumatori stanno entrando in questa categoria ogni giorno negli Stati Uniti, l'aumento della penetrazione potrebbe rallentare".

 

Gli Usa restano una meta privilegiata, con ritiri a prezzi elevati, tanto che l'anno scorso hanno importato "quasi 350mila tonnellate per 2,19 miliardi di dollari, rispetto alle 410mila tonnellate per 1,86 miliardi di dollari nel 2022, secondo i dati dell'International Trade Center".

 

Come sostenere e promuovere i consumi negli Stati Uniti?

Potrebbe essere utile una missione non soltanto di marketing, ma veri e propri educational sulle cultivar, sugli usi e le diverse opportunità, sugli aspetti legati alla salute, coinvolgendo l'Horeca, le scuole di cucina, le mense pubbliche (scuole, ospedali, eccetera), così da migliorare ancora l'indice di penetrazione e favorire l'impiego di un prodotto sano in cucina.

 

Le nuove aree di produzione dell'olio di oliva

I cambiamenti climatici stanno modificando anche le aree di produzione. Dopo un decennio dai primi impianti di ulivi nella regione montuosa di Al Jabal Al Akhdar, in Oman, ora l'area è diventata rapidamente il cuore della produzione di olio d'oliva, sostenuta in ottica di diversificazione colturale dal ministero dell'Agricoltura omanita, impegnato a sperimentare diverse varietà di olive da tavola e da olio provenienti da Spagna, Egitto, Tunisia e Siria per determinare quali funzionano meglio per il clima del Paese.

 

L'olivo si sta spostando a Nord del 45° parallelo. Nel Burgenland, in Austria, alcuni agricoltori hanno coltivato con successo olivi e prodotto olio d'oliva, ha riportato l'Olive Oil Times, periodico newyorkese di riferimento per il settore, "dimostrando che la coltivazione dell'olivo è fattibile anche in zone non tradizionali". D'altronde, dicono Daniel Roessler, Lukas Hecke e Markus Fink, fondatori della società Agro Rebels, "fa sempre più caldo e secco e entro il 2030 le temperature in Austria potrebbero assomigliare a quelle attuali in alcune parti del Sud Europa".

 

E anche in Croazia qualche agricoltore sta iniziando a sperimentare l'olivo, anche se la difficoltà non sta tanto nei cambiamenti climatici, quanto nell'assenza di frantoi sul territorio per la molitura delle olive. Eppure, la tendenza, secondo gli analisti, dovrebbe proseguire. E da coltura mediterranea, l'olivo sta conquistando altre latitudini in Europa.