L'uso di un test del dna sul vino per risalire alle tipologie di vitigni usati per produrlo oggi è una realtà, chiamata Wine dna fingerprint (Wdf), letteralmente impronta digitale del vino.

L'uso del dna per identificare le varietà di vite è una tecnica ormai consolidata a partire da campioni vegetali come foglie o uva. Ma il dna della pianta rimane anche nel vino e qui si può risalire ai vitigni usati in vinificazione e presenti in bottiglia.

Si tratta di una tecnica messa a punto dall'Università di Siena già alcuni anni fa e che al tempo fece parlare di sé dopo il perfezionamento del metodo di autenticazione molecolare dei vini conclusasi nel 2016 e basata sui risultati conseguenti a un progetto di ricerca finanziato dall'ente statunitense Ttb (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau) collegato alla dogana.

Un progetto da cui sono emersi dei risultati pubblicati in un articolo scientifico sulla rivista PlosOne del 2019, riportato anche dalla stampa di settore e da quella generalista.

Un lavoro di ricerca è stato svolto dall'Università di Siena, Serge Genomics e in collaborazione con Pietro Liò, professore presso il dipartimento di Computer Science and Technology presso l'Università di Cambridge.

Ma come funziona questa tecnica, che utilizzi può avere, chi la usa già e chi la potrebbe usare? Per approfondire questi e altri aspetti legati abbiamo intervistato Rita Vignani e Monica Scali, che su questa tecnologia hanno avviato anche l'azienda Serge Genomics, nata inzialmenmte come spin off dell'Università di Siena.

Dottoresse, come funziona questa tecnologia?
"La tecnica può contare su oltre quindici anni di sperimentazione e prevede un primo passaggio di estrazione del dna totale dai campioni e un successivo passaggio di amplificazione del dna in traccia mediante Pcr qualitativa o quantitativa in dipendenza dal marcatore usato. Nella metodica classica si utilizzano marcatori varietali Ssr e si risale alla traccia genetica dell'uvaggio per confronto degli alleli della vite rivelati mediante elettroforesi capillare con i profili dei vitigni presenti nelle banche dati".

Nel 2017 un articolo pubblicato sulla rivista Journal of Agricultural and Food Chemistry, affermava che l'uso del dna presente nel vino per risalire ai vitigni usati, non era attendibile perché il dna si degradava durante la fermentazione. Cosa è cambiato?
"La possibilità di risalire ai vitigni a partire dal dna presente nel vino è stato un argomento molto controverso negli ultimi 15 anni. Credo che pur con tutte le attenzioni che debbono essere dedicate a qualunque metodo scientifico, per cui è necessario stabilire un ambito di applicazione corretta del metodo entro linee guida raccomandate, esistono prove scientifiche sempre maggiori che avvalorano l'utilizzabilità del dna in traccia nei vini di diverse tipologie (ad esempio in purezza o blended, grado di invecchiamento). Interrogando la sola PubMed con le voci: "wine dna" sono pubblicati oltre 1200 articoli scientifici dal 2006 al 2021 che provano la validità delle ricerche in corso in materia di analisi molecolare dei vini.
Sostanzialmente, la letteratura scientifica sempre più nutrita in materia di autenticazione molecolare dei vini, costituisce la risposta migliore. Su questo argomento lavorano circa otto gruppi di ricerca a livello internazionale".

L'analisi è in grado di rilevare tutti i vitigni usati in vinificazione o per ora può determinarne solo alcuni?
"Il Wdf è una metodica universale nel senso che può rintracciare la presenza di qualunque vitigno nel vino purché se ne conosca il profilo genetico. Un po' come dire che ogni sospettato è identificabile, purché nelle banche dati della polizia sia contenuto il profilo identitario cercato. Comunque, la ricerca del vitigno nel vino viene condotta per conto del produttore, in base a quanto dichiarato e quindi in genere si misura la probabilità di presenza assenza di un determinato vitigno nell'uvaggio in base alle indicazioni del cliente".

E' possibile risalire anche ai vari cloni di un vitigno?
"Di solito no, salvo che in realtà non si tratti di veri e propri cloni in senso genetico, ma di varianti ecotipiche che costituiscono le popolazioni vitigno. Questo è un caso abbastanza frequente nei vitigni storici quali il Sangiovese e il Nebbiolo, dove non è sempre immediato stabilire la differenza tra un clone vero e proprio e una variante genetica".

Il test è in grado di rilevare anche la percentuale di ciascun vitigno in un vino?
"Il test è semi quantitativo e stima la probabilità di presenza o di assenza di un determinato vitigno nel vino e generalmente risulta attendibile quando il vitigno è presente sopra all'1% nel blend. Questo valore può cambiare anche in base al numero dei vitigni afferenti all'uvaggio. Il valore dell'1% di rilevabilità delle componenti varietali in taglio è generalmente da intendersi per un vino con due o tre vitigni. È una problematica simile a quanto succede in medicina forense, dove se il numero di fonti biologiche ('contributors') per una stessa traccia aumenta, può complicare la possibilità di ottenere informazioni attendibili circa la natura dei singoli contributors".

E' già possibile usare questo test da parte di una azienda o di un consorzio di tutela?
"La ricerca ha già raggiunto uno stadio pienamente applicativo. L'efficacia dell'applicazione è condizionata dal rigore nell'applicare i metodi secondo le linee guida suggerite dalle pubblicazioni per le diverse tipologie di vino. Ad esempio, è più facile determinare le varietà utilizzate in vini invecchiati al massimo cinque anni e la difficoltà di autenticare le componenti varietali dipende dal numero delle varietà usate. Il caso più semplice è rappresentato da vini monovarietali. Diversi produttori stanno già impiegando il Wine dna fingerprinting (Wdf) su base volontaria per la certificazione delle proprie produzioni, ai sensi della norma UNI EN ISO 22005:2008. Più difficoltosa l'adozione della metodica da parte dei consorzi di tutela, dove ancora il vantaggio derivante dall'applicazione del Wdf è valutato non in maniera coralmente positiva".

Quanto costa un test?
"Il costo varia in base alla tipologia di vino e in generale può essere paragonato al costo di un buon paio di scarpe".

Il test potrebbe essere usato anche dal punto di vista legale o dall'Ispettorato Centrale Repressione Frodi (Icqrf) per la repressione di frodi alimentari?
"Abbiamo avuto alcuni clienti che hanno chiesto le analisi su suggerimento dei propri consulenti aziendali per trovare supporto a cause legali in corso. Si tratta quindi di strumenti che pur non avendo a priori una validità legale, sono sempre più frequentemente richiesti dalle varie procure o dai singoli clienti".