E' stato respinto il ricorso della Crm dal Tribunale Ue: la piadina Igp deve essere prodotta solo in Romagna. La Crm Srl è un’azienda italiana di produzione di prodotti da forno, in particolare di diverse tipologie di piadine romagnole. Essa ha chiesto l’annullamento del regolamento di esecuzione (Ue) n 1174/2014 della Commissione, del 24 ottobre 2014, recante iscrizione di una denominazione nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette, Piadina Romagnola/Piada Romagnola (Igp). La Crm, infatti, teme che riservare l’uso della denominazione "romagnola" alle piadine/piade prodotte nell’area geografica protetta renda impossibile l’esercizio della propria attività economica ordinaria, in quanto il proprio stabilimento di produzione si trova al di fuori di questa area. 
 
La domanda di registrazione della Igp piadina romagnola è stata proposta alle autorità italiane nel 2011 da un consorzio per la promozione di questo prodotto (proposta di registrazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana del 28 gennaio 2012). Tale pubblicazione ha dato luogo a numerose opposizioni da parte di organizzazioni rappresentative dei produttori artigianali di piadine vendute in chioschi, che hanno contestato l’equiparazione, ai fini della Igp considerata, delle piadine prodotte industrialmente alle piadine di fabbricazione artigianale vendute in chioschi. Ciononostante, le autorità italiane, l’11 dicembre 2012, hanno depositato alla Commissione la dichiarazione di registrazione della Igp in questione, unitamente al disciplinare di produzione.
 
Nel 2013, la Crm impugnava davanti al Tar Lazio gli atti della fase nazionale della procedura di registrazione. Con sentenza del 15 maggio 2014, il Tar accoglieva il ricorso, imponendo alle autorità italiane di riformulare detto disciplinare. Secondo il Tar, infatti, la reputazione meritevole di tutela poteva essere riconosciuta unicamente alla produzione artigianale, ad esclusione di qualsivoglia realizzazione industriale della piadina romagnola. Conformemente al diritto italiano, questa sentenza di primo grado era immediatamente esecutiva.
 
Qualche giorno dopo questa sentenza, la Commissione pubblicava la domanda di registrazione della Igp, indicando che tale pubblicazione conferiva il diritto di opposizione alla domanda medesima. La Crm Srl informava quindi la Commissione della sentenza del Tar e, sulla base di questa, chiedeva alla Commissione di annullare la pubblicazione della domanda così come effettuata. Ciononostante, la Commissione adottava il regolamento impugnato, dal quale deriva, come conseguenza, che la Crm Srl non è più autorizzata a utilizzare la denominazione "piadine romagnole" per i suoi prodotti fabbricati a Modena, in quanto questa città si trova al di fuori dell’area geografica protetta. Con sentenza del 13 maggio 2015, il Consiglio di Stato, adito in appello, ha annullato la sentenza del Tar Lazio. Nel frattempo, però, la Crm Srl ha proposto il ricorso di cui trattasi al Tribunale Ue.
 
Con la sentenza di ieri, 23 aprile 2018, il Tribunale respinge il ricorso della Crm, pur muovendo alla Commissione una serie di rimproveri. Il Tribunale rileva, innanzitutto, che la Commissione non ha commesso errori di diritto ritenendo che sussista un legame tra la reputazione del prodotto, anche industriale, e la sua origine geografica. Il Tribunale sottolinea, a questo proposito, che tale legame esiste in ragione di fattori umani. Infatti, grazie alle tecniche di fabbricazione della piadina, trasmesse in Romagna di generazione in generazione, inizialmente per il consumo immediato e poi per la consumazione differita, e grazie agli eventi socioculturali organizzati dalla popolazione romagnola, il consumatore associa l’immagine della piadina romagnola, a prescindere dalle modalità artigianali o industriali di realizzazione, al territorio della Romagna.
 
Secondo il Tribunale però la Commissione, non avendo tenuto in considerazione l’avvenuto annullamento del disciplinare di produzione da parte del Tar Lazio, ha svolto un’istruttoria incompleta e violato il principio di buona amministrazione. Tuttavia, poiché la sentenza del Tar Lazio è stata annullata dal Consiglio di Stato, i suddetti profili di illegittimità restano, per così dire, “virtuali”, sicché il Tribunale conclude che essi non possono condurre all’annullamento della decisione della Commissione. Infine, il Tribunale osserva che non è stato violato, nella specie, il fondamentale diritto di difesa della società ricorrente, la quale ha potuto fare valere le proprie ragioni sia davanti ai giudici nazionali sia davanti al giudice dell’Unione.