Di carne ne importiamo molta, quasi 800mila tonnellate di quella bovina e ancor di più nel caso dei suini, quasi un milione di tonnellate. Per contro, come ovvio, ne esportiamo poca, ma in questo caso sono le esportazioni di carni bovine (oltre 120mila tonnellate) e prevalere su quelle dei suini (meno di 80mila). La bilancia è dunque tutta a favore dell'import, ma non per questo le esportazioni sono da prendere sotto gamba, in particolare nel caso della carne bovina, il cui trend è peraltro in aumento (+0,7%) stando ai numeri sulle esportazioni diffusi da Istat nel primo quadrimestre del 2014. Le aziende che sono riuscite ad aprire le porte dell'export sono anche quelle che più e meglio di altre hanno potuto affrontare il calo dei consumi interni che la crisi si è portata dietro.

Il certificato che non c'è
Esportare è dunque motivo di sopravvivenza e di crescita per molte aziende zootecniche, sovente le più efficienti e strutturate. E se arrivano vincoli, complicazioni e incertezze a chi punta sull'export è il caso di preoccuparsi. E' quanto sta avvenendo con la carente negoziazione di certificati sanitari internazionali con i Paesi interessati alle nostre produzioni. Un compito che dovrebbe essere svolto dalla Pubblica Amministrazione e in particolare dal ministero della Salute. Così il presidente del Consorzio Italia Zootecnica, Fabiano Barbisan, ha preso carta e penna per indirizzare al ministro Beatrice Lorenzin un accorato appello per risolvere il problema. Molti Paesi del Nord Africa, dalla Tunisia all'Azerbaijan, afferma Barbisan, sono interessati ai nostri bovini e alle nostre carni, ma ogni trattativa è bloccata dall'assenza di un accordo sui certificati sanitari necessari. “Tenga conto - scrive fra l'altro Barbisan al ministro - che i nostri “vicini”, i francesi, hanno da tempo negoziato i certificati di esportazione con tutti i mercati più importanti e stanno guardando con molta attenzione ai Paesi del Nord Africa.

Opportunità da non perdere
E tenendo conto, aggiungiamo noi, che la Francia è una forte produttrice di bovini da carne (non per nulla è fra i nostri maggiori fornitori), il rischio di vederci “soffiare” sotto il naso mercati emergenti è tutt'altro che remoto. Sarebbe un peccato, specie se la colpa fosse di un certificato che a noi manca, ma che gli altri (i francesi, appunto) hanno senza difficoltà.