Un fenomeno che spazia dal Piemonte al Friuli, con diverse entità e diffusioni. Nel 2015 alla soia pare infatti esser successo un po’ di tutto, alternandosi oggi, ai primi di ottobre, dei campi perfetti, solo steli secchi e baccelli maturi, ad altri che pare siano immagini agostane di una soia ancora indietro, tutta da maturare. Invece, i semi sono belli e secchi, pronti alla trebbiatura, facendo quindi zuffa con il resto della parte epigea che pare invece non voler sentire ragione e persiste a rimanere verde.
 
Per approfondire le tecniche colturali della soia Sipcam Italia ha organizzato un apposito incontro presso l’Istituto Agrario Ottavio Munerati di Sant’Apollinare, in provincia di Rovigo. In tale occasione non è mancato il confronto fra tecnici su un fenomeno che ha caratterizzato gli appezzamenti.
 
Il fenomeno che più ha attratto l'attenzione dei molti convenuti è quello della cosiddetta "soia verde", ovvero la tendenza della coltura a restare con le foglie attaccate ai fusti, senza ingiallire come invece biologia vorrebbe. I semi no: quelli sono maturi e vanno comunque trebbiati, con sommo disappunto dell'operatore di mietitrebbia che si trova a operare su campi umidi, verdi e a forte rischio intasamento di scuotipaglia e crivelli.
 
La soia verde è una delle più temute situazioni per chi debba trebbiare i raccolti

Le testimonianze sono fra le più disparate, con il top che si raggiunge in un appezzamento per così dire "a strati". La soia è infatti partita bene, salvo poi fermarsi per il secco. Poi è ripartita dopo le piogge estive. Risultato? La parte bassa della coltura era secca, defoliata e matura. La parte alta no: bella verde ancora a fine settembre, con le foglie saldamente attaccate agli steli e i baccelli mezzi vuoti. Praticamente, una coltura "a castello".

Pare che nulla si possa dire sulla semente utilizzata: le medesime varietà, stessi lotti di produzione, se seminate a fine maggio hanno mostrato un andamento del tutto regolare. Se seminate a inizio del mese sono rimaste verdi, fino all'autunno. Le produzioni sono anch'esse ballerine. Si va cioè da produzioni buone su soie defoliate e soie “verdeggianti”. Come pure si rilevano produzioni scadenti su entrambe le tipologie di campo. Di certo, il 2015 è stata una stagione caratterizzata da una calura molto prolungata che ha spaziato da maggio a tutto agosto, mostrando temporali intensi e concentrati che hanno dato una sorta di scossa alle soie che ne venivano toccate. Soprattutto le alte temperature di fine primavera-inizio estate hanno influito sulla fecondità della coltura. Ciò ha fatto sì che a fine luglio si osservassero in campo delle soie che rasentavano il trionfo, ma coi baccelli vuoti.

Ma qui si apre anche un’altra questione, come sollevato da alcuni docenti dell’Istituto Munerati: se un agricoltore ha stipulato un’assicurazione contro le avversità ambientali, inclusi stress abiotici legati a temperature e/o siccità, come vanno considerati questi appezzamenti fortemente anomali? Certamente il clima ha influito non poco. Difficile quindi attribuire la perdita di produzione a qualche diserbo sbagliato o altre pratiche agronomiche risultate deleterie. Quale sarà perciò l’approccio con le assicurazioni, notoriamente molto restie a pagare? Già si ode quindi l'eco delle prime risse fra assicuratori e assicurati, in cerca di un accordo che alla fine si teme lascerà insoddisfatti soprattutto i secondi.
 
Ora la questione è sotto la lente di ricercatori e tecnici, alla ricerca di possibili correlazioni atte a spiegare il fenomeno. Non resta quindi che attende l’inverno, quando forse qualcuno potrà formulare per lo meno delle ipotesi. Tanto, gli agricoltori che sono rimasti col cerino in mano sarà bene che pianifichino accuratamente le semine del 2016, in modo da prevenire i problemi almeno per quanto concerne il proprio operato e le proprie scelte agronomiche. Il resto, come avviene sempre quando si parli di agricoltura, giace nei capricci del Tempo.
 
Il peso stesso degli steli e delle foglie ancora verdi ha causato vistosi allettamenti, forieri di ulteriori difficoltà alla trebbiatura


Preziosa, ma delicata

Strategica, alternativa e caldeggiata anche a livello eurocomunitario: è la soia, coltura che però necessita di competenze tecniche di ottimo livello se si vuole estrarre il massimo dei benefici agronomici ed economici.
A livello di biologia, la soia è una brevidiurna che offre molti vantaggi dal punto di vista dell'azoto, di cui è capace di fissarne in grandi quantità grazie ai rizobi azotofissatori. Ma lo stesso processo di azotofissazione risulta energicamente dispendioso, assorbendo dal 15 al 30% di quanto ricavato dalla fotosintesi. 

Rispetto alle piante C4, la soia, che è una C3, è infatti meno efficiente nella produzione di carboidrati, avendo anche finestre più strette rispetto a un mais per quanto concerne intensità luminosa e temperature ottimali. A confronto col mais, quindi, è più esposta al rischio di "inchiodarsi" e di dover scegliere se col proprio metabolismo sia meglio mantenere la massa vegetale oppure trasferire sostanze ai semi. Una condizione che, a quanto pare, nel 2015 si è realizzata in modo diffuso nei campi di soia di tutto il Nord Italia.