L'industria alimentare italiana è la seconda per numero di imprese in Italia; sono 56.750 (secondo i dati Istat al 2016), di cui 53.360 nel cibo e 3.390 nelle bevande, che diventa il primo settore manifatturiero per fatturato con 140 miliardi di euro (erano 133 nel 2016 e 137 nel 2017).
Questa la fotografia scattata dal rapporto della Luiss business school presentato agli stati generali dell'industria alimentare, organizzati da Federalimentare a Roma.

In Europa - racconta il documento - l'industria alimentare italiana si inquadra come secondo player, dopo la Francia, per numero di imprese, terzo (dopo Francia e Germania) per numero di occupati, quinto (dopo Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) per valore aggiunto. Il 98% delle aziende italiane sono di dimensioni piccole; le imprese più grandi sono di meno al Sud e nelle isole. Gli occupati del settore - in base alle proiezioni di Federalimentare - sono passati da 360mila nel 2016 a 385mila nel 2018; la suddivisione geografica dei posti di lavoro mette al primo posto il Nord con il 60% degli occupati complessivi (al 2016), poi il Nord-Est (31%), il Nord-Ovest (29%); a seguire il Sud (20%), il Centro (13%) e le isole (7%).

Le migliori performance sono delle aziende di dimensione media, in particolare nel 2016 il contributo maggiore riguarda il fatturato, il valore aggiunto e le esportazioni totali. Questo tipo di aziende nell'arco decennale che va dal 2007 al 2016 ha infatti aumentato del 79,6% le esportazioni, del 46,7% il valore aggiunto, del 41,9% il totale dell'attivo e del 38,9% il fatturato.
Per quanto riguarda le grandi, le prime cinquanta imprese del settore raggiungono circa 30 miliardi di euro di fatturato (il 22% dell'intero settore); ampliando alle prime cento si arriva a 41 miliardi (circa il 30% del settore).

Molto importante per la competitività internazionale delle imprese italiane rimane la superiore qualità della sua offerta; una qualità che viene definita "organica" composta da cinque caratteristiche: il prodotto; l'impresa; il territorio; il consumatore; il paese Italia. Nel 2018 - secondo l'Istat - l'export dell'industria alimentare e delle bevande è di poco più di 34,4 miliardi di euro, con una crescita del 2,8% rispetto al 2017 e del 25,2% rispetto al 2013. In valore assoluto le esportazioni dell'alimentare rappresentano il 7,76% del manifatturiero (meno 0,23% rispetto al 2017 ma comunque in aumento del 5,41% rispetto al 2013).

La direzione principale per l'export è l'Europa, dove è andato il 70,61% del totale nel 2018. Il principale mercato da anni è la Germania con il 21,66% delle esportazioni totali europee, seguito dalla Francia (16,20%) e dal Regno Unito (12,76%). Al di fuori dell'Europa i principali mercati di sbocco sono i paesi dell'America settentrionale al 14,31%, seguiti dall'Asia Orientale con il 6,42%.
Considerando le classi di prodotto, in base all'area produttiva, le bevande sono le più esportate nel 2018, rappresentando il 26% dell'export complessivo. Seguono i prodotti dolciari (11%), i prodotti lattiero-caseari e gelati (10%) e i preparati e conserve di frutta e di verdura (10%).
Il saldo commerciale dell'industria alimentare italiana si attesta nel 2018 su valori largamente positivi ed è pari a poco più di 6,1 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2017 (più 30,2%).

Una spinta al settore arriva dalla cosiddetta 'Dop economy' grazie alle 200mila imprese e 822 denominazioni Dop, Igp, Stg (sulle circa 3mila nel mondo). Le produzioni agroalimentari e vitivinicole portano un valore di 15 miliardi alla produzione e di 8,8 miliardi all'export (il 18% del valore complessivo del settore e il 20% del totale delle esportazioni).