Partiamo dai prezzi. In calo per tutto il 2009 e ancora oggi “congelati” a quota 2 euro al chilo o poco più. Per gli allevamenti di bovini da carne la crisi si protrae da ormai dieci anni, con una sola breve interruzione nel 2008. Giusto il tempo per tirare il fiato prima di tornare con i conti ancora in rosso. Perché produrre un chilo di carne bovina, come confermano le indagini del Crpa e gli studi di Smea, costa almeno 265 euro per quintale negli allevamenti del Veneto. E in Piemonte, regione di grandi tradizioni in questo settore, i costi salgono sino a 307 euro per quintale.   Come dire che nemmeno i premi Pac riescono a rimettere ordine nei conti delle aziende zootecniche che si dedicano all'allevamento di bovini da carne. Allevamenti che in Italia hanno per di più caratteristiche del tutto particolari, che comportano costi di produzione più elevati rispetto ad altri Paesi della Ue, come si può leggere in questo stesso numero di Agronotizie.

 

Le previsioni

Difficile modificare il perimetro nel quale i nostri allevamenti di bovini da carne saranno costretti a muoversi per ancora molto tempo. Un perimetro contraddistinto da una preoccupante contrazione dei consumi (-2,1% in volume, nel 2008), compensata in parte dalla riduzione della produzione, scesa di 173mila tonnellate dal 2000 ad oggi.

Un anno di prezzi di alcune categorie di bovini da carne
  Vacche Vitelli Vitelloni
marzo (2009) 1,10 3,51 2,13
aprile 1,11 3,54 2,09
maggio 1,13 3,42 2,07
giugno 1,09 3,37 2,05
luglio 1,08 3,45 2,02
agosto 1,12 3,56 2,03
settembre 1,04 3,65 1,98
ottobre 1,03 3,60 1,97
novembre 1,03 3,55 1,97
dicembre 1,03 3,66 2,01
gennaio (2010) 1,01 3,73 2,04
febbraio 1,03 3,74 2,04
marzo 1,05 3,16 2,02

Allargando lo sguardo alla Ue, il calo produttivo conseguente allo smantellamento dei sostegni un tempo previsti dall'Ocm  carne bovina dovrebbe continuare anche in futuro, forse attenuato dai minori costi di alimentazione dopo il crollo dei prezzi di cereali e foraggi. Al contrario si prevede un aumento della produzione di carne bovina in Brasile, che dall'attuale 20,3% dovrebbe salire al 22,6% della produzione mondiale. Si attende poi un consolidamento delle altre aree a forte produzione collocate fra Asia, Oceania e Nordamerica.

Dunque meno carne in Europa, ma non nel resto del mondo, mentre le preferenze del consumo si spostano sempre più verso altre carni, come quelle di suino (al primo posto in Italia) e quelle avicole, che hanno ora superato quelle di bovino, relegate così al terzo posto.

 

Attenti a Bruxelles

Questo lo scenario. Quali saranno le conseguenze sul prezzo? Ci vorrebbe la sfera di cristallo e forse nemmeno disponendo di capacità divinatorie sarebbe possibile una previsione. Meglio aggrapparsi a punti di riferimento certi. Da una parte la conferma che senza il sostegno della Pac l'allevamento del bovino da carne in Italia (ma anche negli altri Paesi Ue) non ha futuro.

Il patrimonio bovino in alcuni Stati europei (000 capi - elaborazioni Ismea su dati Eurostat)

2009

variazione

(% su 2008)

Germania 12945 -0,2
Francia 19369 -1,3
Regno Unito 10025 -0,8
Italia 6343 -1,8
Polonia 5700 -1,0
Spagna  5966 -7,4
Olanda 3950 1,5

Occorre dunque una ferma azione di indirizzo sulle politiche agricole decise a Bruxelles,  che invece sono pericolosamente rivolte al progressivo smantellamento della Pac. E' di questi giorni la ferma presa di posizione del presidente della Commissione Agricoltura della Ue, Paolo De Castro, che ha ricordato l'importanza dei sostegni comunitari all'agricoltura. Alla sua voce si dovrebbe aggiungere il sostegno di quanti hanno responsabilità in tema di politica agraria nel nostro Paese.  C'è poi da fare un importante lavoro sul fronte organizzativo. Si prenda spunto dai risultati conseguiti da alcune strutture associative, come il Coalvi in Piemonte o  l'Unicarve in Veneto,  che hanno puntato sulla riconoscibilità del prodotto. Perché è pur vero che i consumi di carne si contraggono, ma è confermata la preferenza del consumatore verso i prodotti che sanno certificare la loro provenienza. E questi stessi consumatori sono disposti a spendere qualcosa in più. Le etichette, da sole,  non bastano a risolvere la crisi della carne bovina, ma un aiuto possono darlo.