"Come può un sistema vecchio, basato sull’inefficienza e la burocrazia e uscire da questa crisi? Come possono gli imprenditori lavorare per il rilancio se non c’è collaborazione?".

A chiederselo è Paolo Celli, amministratore delegato dell'omonima aizenda di Forlì, la Celli spa, specializzata nella produzione di macchine agricole che, di fronte alla crisi, denuncia lungaggini burocatiche delle banche e mancanza di collaborazione del sindacato.
Fino a considerare la delocalizzazione in Corea, dove l'azienda ha una filiale.

"In questa situazione di crisi epocale e di grande cambiamento si legge tutti i giorni della necessità di serrare le fila, di fare sistema, di lavorare assieme per trovare soluzioni - ha detto Celli nel corso di una conferenza stampa - ma, rispetto a queste roboanti dichiarazioni, la realtà di tutti i giorni è ben diversa". "L’imprenditore si trova spesso solo - sottolinea l'amministratore delagato -  chiede fiducia, chiede risposte e spesso percepisce indifferenza e ostilità".
Il riferimento è diretto alle banche e ai sindacati, "due interlocutori importanti per le aziende - sottolinea - dai quali è necessario avere collaborazione vera, non solo a parole".
L'azienda, come molte altre, nel 2009 è stata colpita dalla crisi mondiale che ha investito la meccanizzazione agricola, con in più il peso di forti investimenti in innovazione nel campo delle tecnologie verdi, diversificazione intrapresa per fronteggiare il declino delle tecnologie tradizionali in agricoltura.

Per far fronte all' emergenza, la proprietà ha avviato un processo di ristrutturazione interna con taglio di costi e apertura di nuovi mercati, che ha portato oggi l’azienda a dichiarare cifre in recupero: aumento di fatturato del 17% sul 2010, +67% come portafoglio ordini e un aumento di redditività.

"Ad aprile 2010, cioè 18 mesi fa - racconta Celli - è iniziato un percorso di consolidamento dell’azienda pur in presenza di evidenti difficoltà di bilancio: il fatturato era calato del 25% a seguito della crisi e la clientela in difficoltà faticava a pagare, creando così problematiche finanziarie a monte. Abbiamo redatto un piano quinquennale di rilancio che prevedeva un finanziamento ponte (transitorio e garantito) da parte delle banche per assistere la ristrutturazione e il rilancio dell’azienda, nonché un intervento di ricapitalizzazione da parte dei soci per un importo circa equivalente".

Cosa è successo in questi 18 mesi?
"Di fatto, nulla. Dopo un susseguirsi estenuante di riunioni, all’azienda è stata richiesta la produzione di una quantità inimmaginabile di documenti e report che ha comportato un costante ricorso a professionisti esterni - spiega l'ad -. Dopo circa un anno, a febbraio 2011, ci è stato chiesto di attivare una procedura di 'risanamento aziendale' con la certificazione del bilancio 2010 e la redazione di un secondo piano quinquennale di rilancio asseverato da uno specialista esterno".
Malgrado i dubbi legati ai costi, abbiamo attivato la procedura, aspettando fiduciosi che il tutto si completasse nei tempi previsti.
"Siamo ad ottobre e non si ha nessuna indicazione dei tempi di chiusura della pratica: gli istituti si muovono in ordine sparso e seguendo ciascuno una sua strategia, mentre le banche locali dimostrano maggiore apertura e disponibilità verso le esigenze di un'azienda del territorio come la nostra, le grandi banche nazionali sono lontane, poco disponibili al dialogo ed avare di indicazioni su come accelerare i tempi, strette evidentemente in una morsa burocratica interna che rallenta all’inverosimile le pratiche".

18 mesi sono un periodo di tempo che le aziende oggi possano sopportare?
Così facendo anzi si rischia di compromettere le prospettive di rilancio delle imprese in modo irreversibile e di vanificare gli sforzi che gli imprenditori stanno facendo da almeno 2 anni per fronteggiare la crisi e rilanciare il loro business.

Quanto al sindacato, "è accettabile che protegga gli interessi dei lavoratori, ci mancherebbe altro - dice l'imprenditore - ma non che contribuisca a gettare benzina sul fuoco facendo disinformazione. La Celli ha spiegato chiaramente al sindacato le difficoltà ed il prolungarsi oltre ogni limite del percorso intrapreso con le banche e, in cambio, ha ottenuto malumore interno, sfiducia e demotivazione dei dipendenti.
Se i lavoratori sono preoccupati per le sorti della loro azienda risulta incomprensibile che si rifiutino di lavorare qualche ora in più per completare ordini urgenti da consegnare, come successo nelle settimane scorse.
Non si può continuare a ragionare ancora oggi su schemi che richiamano contrapposizioni padrone/lavoratore anacronistiche, vecchie di trent’anni o più".

Infine un appello. "Vogliamo sollecitare tutti coloro che sono nella zona grigia di situazioni come la nostra - conclude Celli - ad uscire allo scoperto e unirsi a noi nel denunciare apertamente questo stato di cose. Dobbiamo renderci conto tutti che se continuiamo ad operare su queste basi, difendendo ciascuno i suoi interessi di bottega, il nostro sistema economico rischierà seriamente di affondare".