La richiesta del Consorzio di tutela vini Valpolicella per il blocco totale degli impianti per i vigneti della denominazione per i prossimi tre anni è stata pubblicata dalla Regione Veneto lo scorso 12 luglio sul Bollettino ufficiale regionale (Bur). La richiesta, nata con l'obiettivo di riequilibrare il mercato attraverso una gestione controllata della superficie vitata e della relativa capacità produttiva, è stata definita dal cda del Consorzio.

"Negli ultimi dieci anni – ha detto il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella – il territorio ha visto crescere la propria superficie vitata di circa il 30%, con un incremento produttivo che sfiora il 40%, con un +50% di uve messe a riposo per Amarone e Recioto". Per Sartori "servivano scelte coraggiose e coscienziose per garantire la corretta remuneratività della filiera e la tenuta del prezzo medio: per questo in sede di assemblea dei soci abbiamo di recente approvato misure straordinarie di riduzione sia delle rese che della cernita delle uve destinate all'appassimento e richiesto il blocco degli impianti. Una politica contenitiva, questa, in via di adozione anche da parte di altre grandi Doc italiane".

In vigore dal 1° agosto, la misura contempla un periodo transitorio di 6/12 mesi per la messa a punto dei sistemi di controllo da parte delle strutture preposte.
Il blocco riguarderà tutto il potenziale viticolo della denominazione (Do) Valpolicella; accanto alle varietà principali (Corvina, Corvinone, Rondinella) saranno infatti comprese anche tutte le varietà complementari ammesse nei disciplinari di produzione.

Sono 2.300 i viticoltori della Valpolicella coinvolti nell'erga omnes gestita dal Consorzio; quasi 8.200 gli ettari di vigneto e una produzione complessiva della Do di oltre 60 milioni di bottiglie.
La produzione di Amarone è di circa 17 milioni bottiglie per un giro d'affari di 334 milioni di euro, dato che sale a 600 milioni di euro se si considera l'intera denominazione. Prima Dop rossa del Veneto e tra le principali in Italia, la Valpolicella è un esempio di economia agricola, con un valore fondiario che in certe zone supera i 500mila euro a ettaro e un forte impatto anche sul piano datoriale, con una spesa media aziendale per le retribuzioni dei propri addetti di circa 100mila euro per azienda.