Era il 2012 e il regime delle quote latte era ancora in vigore. Ma di lì a pochi anni era destinato all'abolizione. Con il primo aprile del 2015, infatti, gli allevatori europei non avrebbero più avuto freni per produrre latte.

Il timore di un'impennata delle produzioni (puntualmente avvenuta) e del contemporaneo crollo delle quotazioni del latte, preoccupava le autorità comunitarie.
Per scongiurare questo pericolo fu realizzata una sorta di rete di protezione per il settore lattiero caseario, che fu battezzata "pacchetto latte".
 

Produzioni sotto controllo

Più volte messo a punto nel corso degli anni, il pacchetto latte, destinato ad essere operativo sino al 2020, contiene numerose formule di protezione per gli allevatori.

Fra le disposizioni che vi sono previste rientrano i contratti obbligatori per la cessione del latte, gli incentivi alle organizzazioni dei produttori e alle trattative collettive.
Chi volesse approfondire l'argomento può consultare l'articolo di AgroNotizie a questo link.

Al momento ci interessa invece evidenziare un particolare aspetto del pacchetto latte, quello che riguarda la programmazione delle produzioni lattiero-casearie.
È questo uno dei principi più innovativi introdotti dalle autorità comunitarie per dare stabilità al mercato del latte.
 

I Doc programmabili

Vietato sino a quel momento dalle norme sulla concorrenza, che impedivano di bilanciare l'offerta in base alla richiesta della domanda, si apriva per i produttori di formaggio la possibilità di mettere un limite alle produzioni per evitare surplus e la conseguente caduta dei prezzi.

Solo due gli Stati membri che hanno approfittato di questa opportunità offerta dal pacchetto latte, limitata tuttavia ai soli formaggi a denominazione di origine.
La Francia ha aderito per le denominazioni Comtè, Beaufort, Reboclon e Gruyère, mentre l'Italia ha scelto i formaggi Asiago, Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano.


Gli effetti

Per i due famosi "grana" la possibilità di programmare la produzione si è rivelata preziosa.
Non che siano mancati momenti di tensione sui mercati, ma i prezzi in questi ultimi anni hanno tenuto.

Dopo la prevedibile caduta dei prezzi nell'immediato "dopo-quote", il mercato ha ripreso fiato, riportando il prezzo del Parmigiano Reggiano ai livelli del 2012, quando le quotazioni avevano da poco superato i massimi di sempre.

Situazione un po' diversa quella del Grana Padano, che pur avendo recuperato fra il 2016 e il 2017 l'iniziale caduta delle quotazioni, sta segnando il passo in questo 2018.
Gli ultimi prezzi faticano a raggiungere i 7 euro al chilo, quanti se ne prendevano dieci anni fa.
 

Grana Padano in difficoltà

Molte le cause delle difficoltà del Grana Padano.
Fra queste le aggressive politiche commerciali della distribuzione organizzata, che gioca al ribasso su prodotti di eccellenza per sfruttarli come "richiamo" per i consumatori.
E poi i consumi interni che segnano il passo, le esportazioni che crescono, ma non abbastanza per ridare fiato al mercato e ai prezzi.

In sofferenza ci sono i caseifici, ma anche gli allevatori, che a loro volta vedono precipitare il prezzo del latte che viene a loro riconosciuto dai caseifici.
E in qualche caso il latte deve prendere strade diverse da quelle della trasformazione in Grana Padano, sopportando altri abbattimenti del prezzo.


Le rivendicazioni degli allevatori

Inevitabile lo scontento e la voglia di cambiare le "regole del gioco", che spinge i produttori di latte a chiedere una diversa politica di governo della produzione.

Oggi, lamentano gli allevatori del piacentino, con in prima fila la Op (Organizzazione produttori) AgriPiacenza latte guidata da Marco Lucchini, il sistema messo a punto dal Consorzio di tutela del Grana Padano toglie elasticità al comparto, mettendo il mondo industriale in una posizione di vantaggio rispetto al mondo agricolo.

Fra i timori degli allevatori anche quella che una contrazione dell'offerta di Grana Padano, anziché tonificare i prezzi, possa comportare la perdita di fette di mercato.
 

La risposta del Consorzio

Pronta la replica del Consorzio di tutela del Grana Padano, che con una lettera aperta del suo presidente, Cesare Nicola Baldrighi, ha ribadito come il piano produttivo sia orientato alla crescita.

Dal 2006 al 2018 la produzione è cresciuta di 713mila forme, e oggi supera i 5 milioni di forme anno, con l'export che al contempo ha raggiunto quota 38%.
Inoltre, si legge ancora nel documento firmato da Baldrighi, la produzione è stata ininterrottamente in crescita da 20 anni, con incrementi del 2% per anno e oggi il "sistema" Grana Padano raccoglie il 25% del latte italiano.
Per di più, da quando è stato varato il piano produttivo si è registrato l'ingresso di 400 nuove stalle.


Obiettivi comuni

Al di là delle singole posizioni, quella degli allevatori e quella del Consorzio, resta per entrambi la necessità di analizzare le cause dell'insoddisfacente andamento del mercato.

Per gli uni e per gli altri l'obiettivo non può essere altro che trovare le leve giuste per dare una svolta al mercato del Grana Padano.

Molti gli aspetti da prendere in considerazione.
Sono importanti le politiche commerciali e gli impegni sulla promozione, in particolare sui mercati stranieri.
Ma non meno importante è l'adeguamento dell'offerta e il modo con il quale questo adeguamento va realizzato.
 

Il modello da scegliere

Ma qual'è il modello più efficiente per equilibrare offerta e domanda?

Un confronto fra le scelte attuate dal Parmigiano Reggiano e quelle messe in atto dal Grana Padano può essere utile. Eccole, seppure in estrema sintesi.


Il "Piano" del Parmigiano Reggiano

Il "Piano di regolazione offerta del Parmigiano Reggiano" parte dalla definizione di un riferimento produttivo, che per il triennio 2017-2019 è di 1,755 milioni di tonnellate di latte, con un aumento di oltre il 7% rispetto al triennio precedente. Tradotto in "forme", l'obiettivo è di 3,343 milioni di unità.

Per ottenere questo risultato viene definita per ogni allevatore una "quota" di latte da destinare a Parmigiano Reggiano.
Se il latte complessivamente destinato alla trasformazione non supera i limiti prefissati, non scatta alcun meccanismo di contribuzione aggiuntiva.
In pratica le quantità in eccesso di un allevamento saranno compensate da quelle in difetto di altre aziende.

Se al contrario la produzione è eccedente, i caseifici saranno tenuti a una "contribuzione aggiuntiva" crescente (una sorta di multa), che da 5 centesimi per litro di latte può arrivare a 20 centesimi.
Questi importi delle "multe" saranno poi ripartiti fra gli allevatori in proporzione ai litri di latte in eccesso rispetto alla "quota".

 

Prezzi medi mensili del Parmigiano Reggiano (Fonte Ismea)


Il "Piano" del Grana Padano

Diverso il metodo adottato dal Grana Padano.
Si parte anche in questo caso dagli obiettivi di produzione, tenendo conto degli equilibri di mercato e della situazione produttiva complessiva.

Per il triennio 2016-2018 il "Piano produttivo" del Consorzio di tutela ha preso le mosse dalla produzione maturata a fine 2015, pari a 4,724 milioni di forme.
Su questa base si è affidato ad ogni caseificio un "punto di riferimento" (in pratica una quota produttiva).

Nel corso dell'anno i caseifici versano mensilmente un contributo ordinario, crescente in funzione della produzione, in media 5 euro per forma.
Qualora la produzione ecceda il "punto di riferimento" scattano contributi aggiuntivi che andranno ad aumentare fra l'altro le risorse per la promozione.
Come per la contribuzione ordinaria, anche per quella aggiuntiva sono previsti importi crescenti, da un minimo di 7,5 euro a un massimo di 60 euro quando il punto di riferimento è superato per oltre l'8%.
 

Prezzi medi mensili del Grana Padano (Fonte Ismea)


La risposta del mercato

Discutere quale dei due sia il modello migliore può essere fuorviante. L'obiettivo da porsi è quello di disciplinare l'offerta adeguandola alla domanda.

Ed entrambi, pur con meccanismi diversi, hanno strumenti per penalizzare chi non sta alle regole.
Poi si può disquisire se sia meglio dare maggiore rappresentatività agli allevatori piuttosto che ai caseifici. Ma questa è una materia che ci allontanerebbe dal problema reale, quello di calibrare la produzione in funzione del mercato.

E allora è opportuno domandarsi se il "peccato originale" che sta penalizzando il mercato del Grana Padano non stia proprio qui, in una programmazione produttiva che forse ha ecceduto in ottimismo.