"Ai giovani e a chi mette al primo posti i costi di produzione dico che invece al centro di tutto ci devono essere i ricavi, il valore aggiunto, la produzione di qualcosa di specifico, di particolare, di richiesto dal consumatore. Solo così la qualità sarà apprezzata e pagata".
Un discorso a metà tra il filosofico e il pratico, non c'è che dire. Ma se lo può permettere Massimo Tomasoni, titolare del bio-caseificio omonimo attivo a Gottolengo, in provincia di Brescia.

Dal 2000 è certificato per la produzione biologica, formaggi freschi, ma anche Grana Padano Dop rigorosamente e orgogliosamente "organic", per usare un'espressione internazionale.
Famiglia storica del territorio e dell'arte casearia, con le prime testimonianze familiari censite nel settore che risalgono al 1815, l'anno del Congresso di Vienna dopo la sconfitta di Napoleone. Prima dei moti carbonari e dell'Unità d'Italia, per dare un'idea.

"Ci siamo ritrovati a dover scegliere quale strada intraprendere, perché con le dimensioni che avevamo non eravamo più in grado di sostenere un confronto con un mondo che vedeva sempre di più la concentrazione produttiva", racconta Tomasoni, invitato a parlare all'inaugurazione del laboratorio di trasformazione dei mosti e del latte all'Istituto agrario di Gazoldo degli Ippoliti, in provincia di Mantova.

Che fare? L'idea è quella del biologico. "Un azzardo, inizialmente, perché il mercato c'era, ma il consumatore aveva preso la strada della standardizzazione, voleva formaggi di colore bianco e discostarsi di poco dall'uniformità" prosegue. "Insieme a mio padre e ai miei fratelli abbiamo valutato la strada del bio. Un'eresia in una regione come la Lombardia, che aveva una sola logica: produrre e spingere sui grandi numeri".

Nel 2000 la prima certificazione bio e nel 2004, dopo alcuni anni in cui ha convissuto il convenzionale, il salto pieno nel mondo dell'organic.
"Le incertezze non nascondo che erano anche di natura economica - confessa Tomasoni -. Nel 2004 il fatturato è stato di 300mila euro, mentre prima eravamo a 2,5 milioni con il convenzionale. Non è stato facile, anche perché inizialmente hotel e ristoranti erano molto freddi alla proposta del biologico, non c'era appeal".

La scintilla che ha innescato la corsa verso l'alto è stata l'estero.
La Germania è il traino, dopo una fiera importante dedicata al biologico. "Abbiamo nel giro di un anno raddoppiato le vendite oltre confine - continua - e la crescita non si è più fermata, tanto che oggi esportiamo il 15% del fatturato, arrivato nel 2015 a 1,3 milioni di euro, grazie anche alla vendita diretta, all'interesse del canale horeca, ai mercati".
Oggi la produzione solo di Grana Padano bio nel caseificio bresciano è di 1.200 forme all'anno.

Il fatturato è inferiore ai 2,5 milioni di quando la produzione era convenzionale, ma Tomasoni è pressochè certo che se non avessero cambiato strada il limite dimensionale avrebbe comportato una condanna a morte e oggi non ci sarebbero più.

I giovani sono naturalmente al centro del suo discorso e non mancano i consigli agli studenti che, dall'anno prossimo, saranno all'università o nel mondo del lavoro. "Il mercato oggi chiede prodotti diversi, serve fantasia e preparazione, perché molto spesso i casari sono molto bravi a gestire la materia prima, ma hanno difficoltà a lavorarla non appena cambia qualche parametro - afferma Tomasoni -. Per questo ritengo che il laboratorio sia fondamentale, insieme allo studio e alla voglia di innovare".

I risultati del mercato hanno permesso costantemente al Grana Padano biologico di superare la quotazione dei 12 euro al chilogrammo dal 2004. "Questo ci permette di assicurare agli allevatori un prezzo del latte superiore al convenzionale, in modo da avere approvvigionamenti garantiti - spiega Tomasoni -. Il latte lo paghiamo 55 centesimi al litro, oltre a Iva e al premio qualità: lo facciamo oggi, ma lo facevamo anche mesi addietro, quando le quotazioni del convenzionale erano a 30 centesimi".

Il progetto futuro vede impegnata la famiglia Tomasoni a creare e vendere il brand Gottolengo, dal comune in cui operano. "Vorremmo costruire un percorso integrato e un marchio replicabile in altri territori, che garantisca l'acqua che viene usata sui terreni biologici, ma anche il fieno e le granaglie. Stiamo lavorando per recuperare un'antica varietà di grano, ma puntiamo a valorizzare allo stesso tempo il comparto zootecnico, dal latte alla carne alle uova, attraverso un circuito a chilometri zero".