Il prossimo 14 giugno il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, incontrerà a Brescia la filiera suinicola. AgroNotizie ha rivolto alcune domande ad Andrea Cristini, presidente di Anas (Associazione nazionale allevatori di suini), per conoscere la posizione dei suinicoltori. Cristini è un allevatore di Isorella (Brescia), con una scrofaia e un allevamento a ciclo chiuso, che gestisce insieme al fratello.

Presidente Cristini, quanto ha influito l’embargo russo sulla crisi della suinicoltura?
Ha impattato molto, ma più che sulla suinicoltura italiana ha avuto un impatto negativo su quella europea. Una buona fetta di carne suina allevata nel Nord Europa era destinata al mercato russo e non ha trovato sbocchi su altri mercati. Quanto meno non in maniera così rapida”.

Che cosa chiederete al ministro Martina?
Come Anas chiederemo che l’etichettatura venga adottata in maniera completa e senza ambiguità anche per le produzioni suinicole italiane, esattamente come è avvenuto con il decreto inviato a Bruxelles la settimana scorsa per il settore lattiero caseario. La valorizzazione della suinicoltura italiana è sempre più indispensabile per una valorizzazione economica che, inevitabilmente, trova ragione anche nella distinzione del made in Italy dalla carne suina prodotta all’estero.
Chiederemo inoltre politiche specifiche per la promozione delle cosce dei suini e uno sforzo per comunicare che la qualità dei suini italiani rispetta rigidi disciplinari, le misure del benessere animale e contiene l’uso degli antibiotici. È giusto che i consumatori lo sappiano
”.

La Cina rappresenta un’opportunità?
Il mercato cinese è il primo al mondo per la produzione di suini. In Cina potremmo avere due opportunità. La prima derivata dalla possibilità di esportare salumi e carni, perché il made in Italy è particolarmente apprezzato; la seconda è legata all’export di tecnologia, know how, materiale genetico. Non dimentichiamo che le nostre imprese su ricerca e sviluppo, ma anche sull’innovazione non sono seconde a nessuno”.

Nella seconda metà di aprile la Commissione Agricoltura dell’Ue ha organizzato una missione di alto livello in Cina e Giappone. Come mai non c’era nessuno del mondo della suinicoltura italiana, secondo lei?
Non so a chi è stato veicolato quell’invito, a noi non è stata data comunicazione alcuna. Se l’avessimo saputo ci saremmo senz’altro mossi per portare il nostro contributo a sostegno della suinicoltura italiana”.

Recentemente il direttore del Consorzio di tutela del Grana Padano, Stefano Berni, ha avanzato l’idea che i consorzi uniscano le forze per coordinare sforzi e risorse su temi comuni, quali le dispute legali, i controlli sulle contraffazioni, misure specifiche di marketing e di comunicazione all’estero. Condivide?
Certo. È una proposta assolutamente condivisibile, perché ormai è inutile rapportarci in giro per il mondo in forma separata. Le Dop sono l’eccellenza dell’agroalimentare italiano e in questo modo potrebbe trovare adeguata valorizzazione in maniera simultanea, ciascuna con le proprie caratteristiche, ma ciascuna come simbolo del made in Italy”.

Senza la revisione a medio termine della Pac, come si può sostenere la suinicoltura?
Credo che se l’embargo russo dovesse continuare, sicuramente sarà inevitabile pensare di mettere in atto forme di sostegno diretto per gli allevatori di suini, italiani ed europei. Mi rattrista il fatto che la voce della suinicoltura non è stata ascoltata. Io è da anni che sostengo che anche la suinicoltura deve poter accedere alle risorse della Pac”.

Qual è, secondo lei, il limite della suinicoltura italiana?
Stenta a fare sistema. La Spagna ha reagito alla crisi e ha investito in maniera coesa, puntando a conquistare nuovi mercati. Oggi possono contare su numeri da primato, hanno superato la produzione della Germania e possono guardare al futuro con maggiore serenità rispetto alla filiera suinicola italiana. Dovremmo francamente imparare da loro”.