Comincia a muoversi qualcosa a livello comunitario a seguito dello scandalo della carne equina in diversi tipi di prodotti alimentari: dietro pressione degli Stati membri, la Commissione europea ha deciso di anticipare all’autunno la presentazione di un rapporto sull’etichettatura.
Al Consiglio Agricoltura che si è svolto lunedì 25 e martedì 26 febbraio a Bruxelles, inoltre, si è riaperto un dibattito di lungo corso, quello sulla possibilità di estendere l’obbligatorietà dell’indicazione d’origine in etichetta, in questo caso ai preparati alimentari a base di macinato.
Molti Stati membri, storicamente reticenti, sembrano aver cambiato idea, proprio sulla scia di questo ennesimo episodio di frode. Frena, però, la Commissione europea.


Molte capitali hanno cambiato idea sull’etichettatura

Se ne era discusso a lungo già nel momento della riforma sul sistema di etichettatura, introdotta nel 2011: all’epoca, a spingere per rendere obbligatoria l’indicazione di provenienza, era il Parlamento europeo, al fianco di alcuni Stati membri.
Paesi del calibro di Germania e Gran Bretagna, ma anche Svezia, Olanda, Danimarca e Spagna avevano però bloccato l’iniziativa, opponendosi a quella che, a loro parere, era una modifica eccessivamente complicata e soprattutto costosa per i produttori agroalimentari.
Ma l’ennesimo caso di frode ha sparigliato le carte e all’ultimo Consiglio Agricoltura molti Stati membri si sono espressi a favore del  provvedimento.
Al di là di danesi e cechi, ancora perplessi, e dei britannici con una posizione vaga, la maggior parte dei Paesi dell’Ue oggi spinge per rafforzare le regole di tracciabilità e per accelerare quanto a tempistiche. Così, l’analisi di fattibilità che la Commissione europea avrebbe dovuto preparare a fine anno, sarà invece presentata in autunno, probabilmente a ottobre. Il rapporto farà luce sull’esatta definizione di “Paese d’origine” e studierà i potenziali costi per il settore, così come le possibili distorsioni al mercato interno.


La posizione della Commissione europea e il disappunto di Catania

Nonostante il Commissario responsabile alla Salute e ai Consumatori, Tonio Borg, si sia detto aperto a una simile prospettiva, di fatto è proprio l’Esecutivo comunitario l’istituzione che frena di più.
"Ho ascoltato con disappunto la replica del Commissario – ha riferito a margine del Consiglio il ministro alle Politiche agricole, Mario Catania –, ha elencato tutte le perplessità e le controindicazioni, prendiamo dunque atto della posizione restia della Commissione europea”.
Da palazzo Berlaymont, in effetti, fin dall’inizio della crisi della carne equina si continua a ripetere che una diversa legislazione non avrebbe risolto il problema né evitato l’accaduto, che è invece una frode legata agli ingredienti e non alla mancanza d’indicazione circa la loro provenienza.
“Bisognerebbe cambiare approccio – ha invece insistito Cataniae riconoscere che tracciabilità ed etichettatura d'origine dovrebbero diventare l'elemento portante di tutto l'agroalimentare europeo, e non essere considerati solo una risposta alle emergenze”. Di fatto, quello su cui si ragiona oggi in relazione alla carne di cavallo, è analogo a quanto avvenne negli anni '90 per quella bovina, sottoposta a norme rigorose a seguito della crisi della “mucca pazza”.
La Commissione europea insiste invece sul versante dei controlli e soprattutto delle sanzioni, che vorrebbe più dure, di modo che siano appropriate e dissuasive in caso di frode alimentare, e arrivino fino alla sospensione della licenza in caso di violazione delle norme Ue.

Italia chiamata a rimborsare oltre 76 milioni di fondi agricoli

Cattive notizie, invece, sul versante agricolo: la Commissione europea, cui spetta di controllare l’utilizzo dei fondi europei provenienti dalla Politica agricola comune, ha chiesto all’Italia di rimborsare 76,11 milioni di euro indebitamente spesi negli anni passati. Nello specifico, 48,3 milioni di euro derivano da infrazioni alla condizionalità, mentre 17,9 milioni di euro sono da risarcire per gravi lacune nel sistema di controllo e frodi nel settore della trasformazione degli agrumi.
In totale, si tratta di un’operazione di recupero presso 22 Paesi membri per un totale di 414 milioni, a causa di inosservanza delle norme Ue o di inadempienze nelle procedure di controllo della spesa agricola.