Ci risiamo. L’agricoltura è ancora al centro delle attenzioni nella sconfinata selva di siti web che si piccano di propalare informazione alternativa, ovvero di rivelare scottanti verità e di scoperchiare scandali internazionali. E quando di bufale non ce n’è di fresche, pur di non star zitti e di continuare a sputar fango ci si può sempre rifare ad articoli pubblicati mesi o anni prima e già finiti sotto la lente di tecnici e giornalisti scientifici, magari facendoci pure una figura poco edificante.
 
Questa volta, navigando nel mare magnum dell’allarmismo, si trovano pagine che parlano di “Mistero ad Ontario” (non “in” Ontario ma “ad”) a seguito del ritrovamento di “37 milioni di api morte”. Proseguendo nelle letture dei vari articoli, i quali paiono cloni l’uno dell’altro per titoli e contenuti, si apprende come i “coltivatori di api” (non gli allevatori: i coltivatori) abbiano accusato delle stragi i campi di mais ogm siti nelle vicinanze delle colonie, salvo poi dimenticarsi degli ogm e mettersi a parlare di neonicotinoidi. Perfino un non meglio precisato team di scienziati dell’Università di Utrecht avrebbe affermato che “[…] su larga scala l’uso del prophylaxic in agricoltura, la sua elevata persistenza nel suolo e nell’acqua, il suo assorbimento da parte delle piante e la diffusione attraverso i pollini, mette a rischio la vita degli insetti impollinatori”.
Evidentemente, Google traduttore può giocare brutti scherzi, come pure l’assoluta mancanza di competenze specifiche in agricoltura, entomologia e agrochimica. Il termine “prophylaxtic” non è infatti riferibile ad alcun prodotto fitosanitario, bensì può essere al massimo riferito alla pratica profilattica della concia dei semi. Se quindi si vuole proprio sputar sentenze nella nostra lingua, che almeno si usi il dizionario Inglese-Italiano: aiuterebbe a scrivere meno fesserie…
 
Sia come sia - e con buona pace dei profilattici - andando a curiosare in cerca delle fonti di siffatto “scoop”, si scopre che all’origine delle accalorate pagine web pubblicate sul tema, straniere e italiane, vi sarebbe un articolo di OrganicHealth.com. Evidentemente, né all’estero, né in Italia sanno che il mais non si semina a novembre, men che meno in Ontario, ove in questo periodo già si cammina con le ciaspole e si fanno tirare le slitte dalle mute di husky.
Ma, benevolmente, sorvoliamo pure su questo piccolo dettaglio.
 
In realtà, la notizia è di fatto una non-notizia, dal momento che rilancia semplicemente degli eventi accaduti nel giugno 2013. Perché in mancanza di news recenti, può magari fare brodo anche qualche notizia attempata quando si voglia a tutti i costi dare addosso all’agricoltura in genere, all’agrochimica in particolare e, perché no, già che ci si è, perché non dire qualcosa di male pure sugli ogm anche se non c’entrano assolutamente nulla?
Perché questo è esattamente ciò che è avvenuto in questo caso.
 

Stringi stringi…

 
Giusto per chiudere il tema “Ontario”, si sono cercati riferimenti ufficiali in cui fossero presenti analisi chimiche effettuate in corrispondenza di morie di api simili a quelle di cui sopra.
Nel 2012, per esempio, vennero effettuate analisi sulle api morte in cerca di insetticidi (Leggi il documento: pag 18). Nel 73% dei casi venne trovato chlotianidin a livelli compresi fra “tracce” e un massimo di 0,024 ppm (mg/kg). Dato che un chilo di api contiene circa 10mila individui, si deve dedurre che espresso per singola ape se ne sia trovato 0,0024 µg. La LD50 di chlotianidin per le api è in effetti molto bassa: 0,0439 µg/ape (Epa fact sheet Chlotianidin). Comparando però i due valori si evince che in casi analoghi a quelli citati dai pezzi in questione, il neonicotinoide è stato reperito a concentrazioni pari a circa il 5,5% della sua LD50. In pratica, un'inezia.
 
Ora, si sa che alcuni studi hanno evidenziato come vi possano essere effetti sub-acuti sulle api anche a dosi molto basse. Ma una mortalità secca, di botto, improvvisa, non può essere considerata come uno di questi casi. Se la concentrazione non supera certi livelli, la strage subitanea di api non si può ragionevolmente attribuire al solo insetticida incriminato.
Leggendo quindi con più attenzione la medesima tabella, si evince come nelle api siano stati trovati anche altri insetticidi, fra cui anche fluvalinate e coumaphos, utilizzati proprio nelle colonie contro la Varroa. Poi fosmet, permetrina e acetamiprid. Tutti sono stati reperiti a concentrazioni molto lontane dalle rispettive LD50, ma se messi tutti insieme, alcuni aggiunti per giunta proprio dagli apicoltori, forse qualcosa può succedere, soprattutto pensando che la presenza degli agrochimici può essere stata contestuale ad altri fattori di pressione sulle api, come quelli sanitari (virus, Nosema, Varroa), climatici e perfino biologici, ovvero lo stress dovuto all’eccessivo sfruttamento da parte degli apicoltori stessi. E sappiamo come lo stress metta in ginocchio le api anche senza bisogno di altre cause esterne.
 
Ora, stabilire quale sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso è molto difficile. Forse impossibile. Di certo il “vaso” era bello pieno. E non certo di miele.
Al di là quindi dei siti allarmisti – che si dilettano a rimbalzare notizie vecchie come il cucco, allungando pure il brodo con gli ogm - si dovrebbe forse meditare con più attenzione sulla corretta valutazione delle numerose variabili che concorrono a queste morie. Magari operando con una mentalità un po’ più ampia del solito “Il vicino ha seminato e a me son morte le api…”.
Perché tale approccio puzza un po’ di caccia all’untore. Una caccia per giunta bendata da interessi di categoria e drogata da quella disinformazione sistematica operata da chi pare abbia le tasche piene di sentenze senza che siano stati ancora istruiti i processi.

Nota: i link ai siti di "informazione alternativa" sono stati volutamente omessi, dal momento che ogni click e ogni visita fa loro guadagnare del denaro. Altro aspetto sul quale meditare quando si leggono certi titoli e si vedono caricare certi link sui social network. Ovvero: non date cibo ai disinformatori.