Ancora una decisione della giustizia ordinaria che probabilmente completerà la demolizione delle già fragili certezze sulle regole con cui svolge il processo di Revisione Europea degli Agrofarmaci.

In un nostro articolo dello scorso giugno avevamo riepilogato tutte le cause europee e nazionali relative a ricorsi presentati da vari soggetti, principalmente notificanti delusi dall'andamento della valutazione della propria molecola. Tra queste figurava anche quella del titolare dell'acrinatrina, una sostanza attiva “voluntary withdrawn1”, il quale ricorreva al TAR del Lazio (il mitico TAR del Lazio) contro la registrazione di un formulato contenente questa sostanza attiva, rilasciata nonostante la decisione 2008/934/CE2 abbia sancito la sua “non iscrizione3” nell'allegato 1 della direttiva 91/414. Il TAR del Lazio, con la decisione 2799/2009 del 6 maggio scorso, aveva inizialmente accolto l'istanza, confermando l'impossibilità di rilasciare nuove autorizzazioni per sostanze attive “non iscritte nell'allegato 1 della direttiva 91/414”, anche se dimostrava scarsa conoscenza dell'argomento affermando come i prodotti fitosanitari “pericolosi per l'ambiente” fossero destinati alla progressiva eliminazione; affermazione indubbiamente auspicabile ma assolutamente non vera4.

Questa decisione aveva avuto come logica conseguenza la sospensione di numerose (oltre una quindicina) altre autorizzazioni contenenti sostanze attive anch'esse elencate nella decisione.

Ebbene, il Consiglio di Stato (sezione sesta), nella sessione tenutasi il 6 luglio scorso (ordinanza n° 5025/2009), ha respinto l'istanza cautelare del TAR, negandone i presupposti di urgenza. Ciò ha portato al ripristino di tutte le registrazioni sospese, con grande sollievo per i titolari, che altrimenti non avrebbero saputo come gestire le scorte di formulati improvvisamente e misteriosamente divenute illegali, e fortunatamente poche conseguenze per il mercato, in quanto sia la sospensione che il ripristino sono avvenuti in un periodo di scarsa attività. La decisione del Consiglio di Stato è tanto più sorprendente in quanto affronta l'intera vicenda in un'ottica completamente diversa: il massimo livello della giustizia amministrativa nazionale afferma infatti che “attenendo l’interesse azionato dalla ricorrente di primo grado non alla tutela della salute e dell’ambiente, ma ad una questione di ripartizione delle quote di mercato”, “non sussistevano i presupposti di danno per la concessione della misura cautelare”.

In altre parole, rimane tutto da dimostrare che l'immissione in commercio di ulteriori formulati contenenti “acrinatrina” o altre sostanze “revocate volontariamente” possa causare problemi di salute pubblica, mentre il vero motivo del ricorso era quello di sbarrare la strada a un potenziale concorrente.

Poiché il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha molti compiti ma non quello di regolamentare il mercato, non può impedire l'immissione in commercio di prodotti fitosanitari per motivi diversi dalla loro compatibilità tossicologica e ambientale con le normative attualmente in vigore. Siamo però in presenza di una decisione di non iscrizione che tutti gli stati membri non possono che rispettare, ma è altrettanto vero che, contrariamente agli analoghi provvedimenti sinora emanati, questa non riporta il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni nel periodo che intercorre tra la sua entrata in vigore e il termine previsto per la revoca dei formulati. Molti diranno che è vero che non è espressamente vietato, ma non è neppure permesso: la direttiva 91/414 prevede infatti che non sia possibile autorizzare l'immissione in commercio di prodotti fitosanitari per i quali sia stata presa una decisione di “non iscrizione” senza che essi siano stati nuovamente approvati.

Si tratta quindi dell'eliminazione di una ridondanza? Forse. Per facilitare la comprensione di tutta la vicenda occorre tuttavia ricordare che gli effetti di questa cosiddetta “revoca volontaria” non sono gli stessi delle “non iscrizioni” comminate per manifesta pericolosità tossicologica o ambientale: i formulati contenenti sostanze attive “revocate volontariamente” potranno infatti rimanere sul mercato 24 mesi anziché 6, cui andranno aggiunti i canonici 12 mesi per lo smaltimento delle scorte. Appare quindi evidente che precludere questo mercato a nuovi attori per un periodo così lungo avrebbe indubbiamente avuto degli effetti distorsivi, che l'attuale formulazione della decisione comunitaria ha tentato, anche se in modo imperfetto, di mitigare.

Non sappiamo se augurarci o temere una escalation europea di ricorsi di questo tipo: da una parte vorremmo che la filiera degli agrofarmaci trovasse un proprio equilibrio senza dovere continuamente ricorrere ai tribunali per interpretare norme spesso contraddittorie, dall'altra parte è dovere di ogni cittadino segnalare tutte le anomalie che possono essere sfuggite al legislatore, in modo che possano venire mitigate o risolte il prima possibile, pena la caduta della credibilità di tutte le istituzioni nazionali e comunitarie.

 

Per saperne di più

Il sito web della giustizia amministrativa: www.giustizia-amministrativa.it

1Revoca volontaria. Il meccanismo è previsto dal regolamento comunitario 1095/2007/CE, che prometteva ai notificanti che avessero ritirato volontariamente la sostanza attiva un periodo prolungato di permanenza sul mercato, 36 mesi contro 18 mesi (24 mesi contro 6 mesi non tenendo conto del periodo di smaltimento scorte).

2 Pubblicata sulla GU dell'Unione Europea L333 dell'11 dicembre 2009

3Revoca Europea

4Estratto dell'ordinanza “Considerato che, oramai esaurito il periodo intermedio di anni 12, la decisione della Commissione CE citata consente agli Stati membri soltanto di “mantenere le autorizzazioni fino al 31 dicembre 2010” e che, pertanto, l’intero quadro normativo comunitario e nazionale non consente di ritenere legittimo il rilascio di ulteriori autorizzazioni all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari pericolosi per l’ambiente di cui, invece, si prevede la progressiva eliminazione.”