Uno scenario se non allarmante, certamente oggetto sul quale riflettere. La contrazione dei listini mette in difficoltà i produttori sul piano economico e soprattutto apre l’incognita sulla semina del mais. Se da un lato i costi per i fertilizzanti sono diminuiti rispetto a quattro mesi fa, le attuali quotazioni non lasciano margini di reddito al termine del ciclo colturale. "Inoltre, non si intravede una ripresa dei prezzi almeno per i prossimi quattro mesi e un rimbalzo dei listini sarà subordinato all’andamento stagionale delle coltivazione in Australia, Nuova Zelanda e nell’Europa dell’Est", spiega Marco Aurelio Pasti, presidente nazionale dei cerealicoltori di Confagricoltura, nei giorni scorsi relatore ad un convegno proprio nella sede del sindacato di via Fancelli.
Non si prevedono dunque oscillazioni marcate verso l’alto, secondo Confagricoltura, nonostante il mercato cerealicolo del mais sia piuttosto stazionario negli scambi, per il ricorso agli ammassi nei magazzini da parte degli imprenditori agricoli, a fronte di una quotazione intorno ai 124 euro la tonnellata (un anno fa era di circa 225 euro, quasi il doppio).
"Inoltre sta scomparendo la differenziazione sui prezzi del mais nazionale ed estero – osserva Pasti – con una penalizzazione accentuata delle produzioni italiane. Basta confrontare le mercuriali della Borsa merci di Udine con il Chicago board of trade. Per la prima volta dal 1945 i prezzi sono quasi allineati".
I riflessi negativi potrebbero avere ripercussioni appunto sulle semine. "Calcoliamo che in Italia le superfici coltivate a mais nel 2009 saranno inferiori del 15-20% rispetto a un anno fa", ipotizza Pasti.
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