L'ozono (O3) è un gas composto da molecole instabili con un odore pungente e dotato di grande reattività. Come noto, la sua presenza negli alti strati dell'atmosfera serve da scudo alla Terra contro i nocivi raggi UV. A livello di troposfera, però, l'ozono è un composto indesiderato. Esso viene prodotto da una serie di reazioni tra ossidi di azoto e monossido di carbonio, tipici dell'inquinamento da processi di combustione incompleta. Tali reazioni sono indotte dai raggi solari, che, assieme all'NO2, fungono da catalizzatori.
La reazione complessiva si può condensare come: CO + 2O2 + (luce, NO2) → CO2 + O3
Alti tenori di umidità atmosferica riducono la formazione di ozono perché gli NOx tendono a combinarsi con l'acqua formando acido nitrico o nitroso, i quali eventualmente precipitano (piogge acide). Il problema dell'inquinamento da ozono è dunque più grave durante i periodi di forte siccità. In ambiente esterno, le principali sorgenti di particolato organico sono sia di origine naturale (suolo, sospensioni marine, emissioni vulcaniche, spore, eccetera), per le quali si riscontra una maggiore frazione di particelle grossolane, sia di origine antropica (motori a combustione, impianti industriali, impianti per riscaldamento, incendi, eccetera), per le quali si riscontra una maggiore frazione di particelle fini, dette anche polveri sottili PM10 e PM2,5.
Poiché la sua alta reattività lo rende un composto irritante per le vie respiratorie, il Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 155, in recepimento della Direttiva sulla Qualità dell'Aria Ambiente e Aria più Pulita per l'Europa n. 50/2008 del 21 maggio 2008, fissa i valori limite e gli obiettivi di qualità per le concentrazioni nell'aria ambiente di diversi inquinanti, fra i quali appunto particolato PM10, particolato PM2,5 e ozono.
Anche le piante, in quanto esseri viventi, risentono delle alte concentrazioni di ozono nella troposfera. Un recente studio, condotto da ricercatori italiani e pubblicato su Nature ha messo in evidenza fatti allarmanti: in Italia, il valore economico delle foreste è calato del 10% a causa dell'inquinamento da ozono, che ha determinato una riduzione di oltre l'1% della superficie forestale destinata alla produzione di legname, con un danno potenziale che potrebbe arrivare fino a 2,85 miliardi di euro (circa 870 euro per ettaro). Le foreste italiane sono più esposte ai rischi da O3 rispetto a quelle dell'Europa del Nord in quanto il clima più caldo e la radiazione solare più intensa stimolano la formazione di questo gas, penalizzando la competitività del nostro Paese.
Le novità nell'approccio metodologico dello studio citato sono due:
- Per la prima volta è stata fatta un'analisi economica che ha preso come parametro di calcolo la Dose Fitotossica di Ozono (POD = Phytotoxic Ozone Dose), ossia la quantità di O3 assorbita dalle piante durante la stagione di crescita che eccede un valore di soglia predefinito, assunto pari ad 1 mmol/m2 di superficie fogliare, e quindi chiamato POD1. La misurazione diretta di tale indicatore è un indice migliore rispetto alla sola concentrazione di ozono nell'aria perché dipende dalla superficie fogliare (superficie delle foglie o aghi per metro quadro di terreno forestale) e dall'attività degli stomi, che varia durante il giorno. I valori soglia di POD sono 4 mmol/m2 per le latifoglie e 8 mmol/m2 per le conifere. A titolo d'esempio: le foreste del Centro Nord Europa soffrono valori di POD media nell'ordine di 14-18 mmol/m2. In Italia, la peggiore situazione si osserva nel Sud (21 mmol/m2) e nelle isole (41 mmol/m2) e a ridosso di zone litoranee densamente popolate e quindi più inquinate, dove si arriva a 100 mmol/m2.
- La superficie fogliare e il dosaggio fitotossico di O3 sono stati modellizzati con l'aiuto della ditta francese Argans, specializzata in servizi satellitari, con una risoluzione di 12 km2 (Foto 1). Una risoluzione così fine consente di stimare con alta precisione in che misura l'O3 influisce sulla crescita delle piante.
Foto 1: Il territorio nazionale è stato suddiviso in "pixel" di 12 km2 ciascuno. In base ai dati satellitari di copertura vegetale, irraggiamento solare e inquinamento è stata calcolata la POD (immagine a sinistra). In base alla POD calcolata, il modello matematico (a destra) rende la perdita di biomassa legnosa
(Fonte foto: S. Sacchelli, E. Carrari, E. Paoletti, A. Anav, Y. Hoshika, P. Sicard, A. Screpanti, G. Chirici, C. Cocozza, A. De Marco; Economic impacts of ambient ozone pollution on wood production in Italy; Nature Scientific Reports)
(Clicca sull'immagine per ingrandirla)
In Italia, la maggior parte della produzione di legname è rappresentata da legna da ardere con una produzione annua pari a circa 5,5 milioni di m3, seguita da paleria (0,8 milioni) e tondame da opera (0,9 milioni). L'influenza dell'ozono, essendo proporzionale alla sua concentrazione ma anche alla densità fogliare e concentrazione di stomi, influisce sull'accumulo di biomassa in modo proporzionale alle dimensioni dell'albero. Di conseguenza, influisce diversamente sui tre settori merceologici citati sopra. A essere maggiormente colpite dall'inquinamento da ozono sono state soprattutto le produzioni di legna da ardere e paleria che hanno subìto, in media, una perdita del 7,5% e del 7,4%, mentre il tondame ha registrato un calo di circa 5%. In Italia, l'industria del legname fornisce lavoro a oltre 400mila addetti in circa 87mila aziende, con un fatturato totale di circa 35 miliardi di dollari a cui si aggiungono altri 21 miliardi circa di indotto, relativi al settore del mobile.
I risultati dello studio bioeconomico
La classifica delle regioni maggiormente colpite dall'inquinamento da ozono è duplice:
- Le regioni che perdono le maggiori percentuali di superficie boschiva rispetto ad uno scenario ideale di minimo inquinamento sono: Sardegna (6,2%), Sicilia, (3,1%), Puglia (2,9%) Calabria (2,5%) e Valle d'Aosta (2,1%). La media nazionale è dell'1,15%.
- Le regioni che perdono le maggiori percentuali di fatturato potenziale complessivo nell'industria del legname (tondame, paleria e legna da ardere) sono: Liguria (1.229 euro/ettaro), Campania (628 euro/ettaro), Calabria (568 euro/ettaro) e Sicilia (543 euro/ettaro). La media nazionale è di 401,50 euro/ettaro.
Qualche riflessione finale
L'inquinamento da ozono è stato responsabile di 3.490 decessi in Italia nel 2019, il valore più alto in Europa (dati dalla mappa interattiva dell'Istituto State of Global Air 2020). Benché lo studio citato sia focalizzato maggiormente sulla biomassa legnosa, bisogna prendere atto che l'inquinamento da ozono influisce negativamente su tutte le piante, quindi è causa di perdite economiche sull'intero comparto agricolo, in particolare nelle regioni più colpite.
Purtroppo, abbattere le emissioni di O3 alla fonte è difficile, per non dire impossibile.
Idealmente:
- Andrebbero spente centrali a carbone, cementifici, impianti petrolchimici, acciaierie e inceneritori - almeno nei giorni di alto irraggiamento solare - oppure bisognerebbe dotarli di scrubber o altri sistemi di lavaggio fumi in grado di eliminare le emissioni di NOx e CO.
- Andrebbe incrementata la percentuale di verde nelle città e nelle zone industriali, anche ricorrendo ai giardini verticali.
- Andrebbero installati vaporizzatori d'acqua in aree urbane, tangenziali e zone industriali, ma ciò comporterebbe l'installazione di una rete idrica parallela servita con acque riciclate o di falda, per non parlare del consumo energetico per il pompaggio dell'acqua e l'aumento di umidità ambiente nelle aree coinvolte.
- Il traffico veicolare andrebbe ridotto e riorganizzato: le merci dovrebbero viaggiare su rotaia anziché su camion, il trasporto pubblico urbano dovrebbe essere elettrico, andrebbero promosse campagne di rottamazione di veicoli obsoleti e controlli sulle emissioni.
- Andrebbero dedicate più risorse alla prevenzione e al contenimento degli incendi boschivi, che sono la principale fonte di particolato incombusto, NOx e CO, specialmente nei periodi di massima siccità.
- Le colture andrebbero irrigate a pioggia nelle ore di maggiore irraggiamento solare per precipitare gli NOx impedendo la formazione di O3, ma ciò comporterebbe un maggiore consumo di acqua e, a lungo termine, la salinizzazione del suolo.
L'ozono troposferico è dunque l'ennesima sfida per la transizione ecologica e l'agricoltura sostenibile.