La soia al centro dell’attenzione della filiera a Lodi, presso il Parco Tecnologico Padano, in occasione di un convegno organizzato da Sipcam Italia dal titolo “Per una filiera sostenibile della soia”. Sipcam Italia è infatti componente attiva di “Soia Italia”, società nata proprio per integrare competenze diverse della filiera della soia al fine di rendere questa coltura sempre più efficiente e diffusa. Forte di un ricco catalogo di varietà, di mezzi di difesa e di fertilizzanti dedicati, Sipcam Italia si conferma quindi riferimento tecnico ed esperienziale per chi voglia avvicinarsi alla soia o che su questa coltura voglia approfondire le proprie conoscenze e opportunità di reddito.
 

La soia al centro

 
Moderato da Roberto Bartolini, giornalista, l’incontro ha permesso di condividere i contributi di relatori di assoluto spessore, ciascuno negli ambiti della propria professione e ruolo.
A partire da Paolo De Castro, coordinatore presso il Parlamento europeo, e Gastòn Funes, addetto agricolo dell’Ambasciata Argentina presso l’Unione europea. Punti di vista di alto interesse sono stati inoltre espressi da Piero Gattoni, vice presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, Guido Bezzi, responsabile agronomico del Consorzio Italiano Biogas, Nino Chiò, risicoltore, e infine Francesco Magro, del reparto R&D di Sipcam Italia.
Punti di vista e competenze molto diverse, sia dal punto di vista tecnico, sia normativo, sia economico. Un “melting pot” di contributi che ha reso l’incontro particolarmente ricco di argomenti e di spunti di riflessione.
 
Quello che è emerso dalle differenti presentazioni è un mercato della soia in costante ascesa a livello globale, con ettarati e produzioni in espansione soprattutto nei due Paesi sudamericani Brasile e Argentina. Rallentamenti invece negli Usa, i quali mantengono però la prima posizione di produttori mondiali con 108 milioni di tonnellate. Primo importatore al Mondo invece la Cina, la quale ha trovato più economico importare crescenti quantità di soia anziché ampliare ulteriormente le superfici interne già coltivate.

L’Europa presenta invece una severa dipendenza dalla soia estera, coltivando solo 600 mila ettari dei 13,5 milioni che dovrebbe seminare per soddisfare il fabbisogno interno. Se su questo punto Paolo De Castro ha manifestato preoccupazioni in termini di sicurezza degli approvvigionamenti, Gasto´n Funes ne ha palesate altre circa i paventati divieti nazionali per l’uso di alimenti derivati da ogm. Essendo l’Europa forte importatrice, ed essendo la soia all’82% gm, l’Argentina teme infatti di incontrare difficoltà politiche sul percorso commerciale delle proprie produzioni. 

Timori probabilmente inutili, dal momento che le filiere di pregio europee necessitano di quella soia per mantenere gli attuali livelli di produzione, come conferma anche Piero Gattoni. Il vice presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano ha infatti ribadito la necessità di contare sulle proteine vegetali della soia d’importazione, ogm o meno che siano, anche se dal punto di vista dei disciplinari futuri il Consorzio sta valutando una maggiore tipizzazione delle proprie produzioni, con precise soglie di foraggi da coltivarsi in loco, i quali dovranno mostrarsi superiori al 50% della sostanza secca somministrata alle lattifere, come pure sulla nascita in loco delle lattifere stesse. Questo per rispondere a consumatori più attenti proprio al valore dell’origine di un prodotto Dop.
Dove sia il valore aggiunto di una vacca frisona nata a Parma rispetto alla medesima vacca frisona nata in Olanda e solo poi giunta a Parma, non si capisce molto bene. Ma se ciò viene visto come elemento chiave di una maggiore tipizzazione del prodotto, ben venga.
 
Aspetti squisitamente tecnici e botanici quelli trattati invece da Francesco Magro, R&D Sipcam Italia, il quale ha ricordato come la sostenibilità di una coltura sia in primis economica: se un’azienda non fa bilancio chiude e con essa chiude anche qualsivoglia discussione sui suoi impatti ambientali, veri o soltanto presunti. La chiave per sostenere la redditività dell’azienda agricola produttrice di soia è quindi un moderno mix di lavorazioni, irrigazione, difesa e nutrizione, precision farming e cover crops, al fine di massimizzare le potenzialità produttive dei propri appezzamenti.
Magri ha introdotto anche il sagace concetto di “Intensificazione sostenibile”, ovvero l’aumento della produttività aumentando gli input in modo men che proporzionale. Si deve cioè passare dal concetto di sostenibilità per ettaro a quello di sostenibilità per unità di produzione. Se per esempio si assiste a un aumento del 10% degli input di fattori produttivi, ma si aumentano del 50% le produzioni significa che l’impatto ambientale per tonnellata di prodotto è diminuita.

Sempre in tema di economia dell’azienda agricola, anche Giorgio Bezzi del Consorzio Italiano Biogas, ha sottolineato l’opportunità di coltivazione della soia in aree a vocazione zootecnica in chiave “Food & Feed”. Il biogas chiude infatti un ciclo: quello della sostanza organica. Il ritorno del digestato al terreno aiuta infatti non solo il suolo, ma sequestra anche CO2 dall’atmosfera andando incontro alle crescenti pressioni di tipo ambientale che gravano sempre più sull’agricoltura.
 
E a concludere il convegno è stato proprio un agricoltore davvero speciale. Ovvero Nino Chiò, risicoltore della Provincia di Novara che ha trovato nella soia la coltura d’elezione per effettuare rotazioni mirate al controllo delle infestanti resistenti in generale e del riso crodo in particolare.
La soia offre infatti la possibilità di utilizzare diserbanti aventi modi d’azione differenti rispetto a quelli utilizzati in risaia, ristabilendo un certo equilibrio nelle popolazioni delle infestanti. 

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