Una coltura fondamentale da anni, strategica oggi, irrinunciabile domani. È la soia, una leguminosa sulla quale sono puntate le aspettative di molteplici correnti di pensiero, da quella agricola a quella ambientalista, da quella zootecnica a quella, pensate un po’, vegana. Cioè quel modo di vedere il Mondo che collide proprio con la zootecnica.

Quando sfere sociali così differenti fra loro concordano su un punto, difficilmente quel punto risulta poi sbagliato. La soia può soddisfare infatti le domande di un’alimentazione umana basata maggiormente sulle proteine vegetali, ma può anche mettere ulteriormente il turbo proprio alla zootecnia intensiva dei Paesi sviluppati. Quella cioè maggiormente sotto accusa sul fronte ambientale e nutrizionale.
Sia come sia, e con buona pace degli opposti estremismi, la soia prosegue imperterrita nella sua marcia d’espansione. Lo testimonia un rappresentante d’eccezione in occasione di un convegno sulla soia organizzato da Sipcam Italia a Lodi, presso il Parco Tecnologico Padano.
 
Addetto agricolo dell’ambasciata argentina presso la UE, Gastón Funes ha infatti fornito una panoramica della coltura della soia non solo in Argentina, ma anche a livello globale. Usa, Brasile e Argentina sono i tre Paesi maggiori produttori di soia: insieme fanno l’84% del totale prodotto con oltre 260 milioni di tonnellate. La produzione di soia è peraltro aumentata del 50% negli ultimi dieci anni, subendo solo un paio di battute di arresto nel 2008 e nel 2012 causa siccità.
 
Addetto agricolo dell’ambasciata argentina presso la UE, Gastón Funes
 
Del resto, l’aumento della popolazione mondiale obbligherà ad aumentare anche la produzione di cibo. E si parla di un rotondo 70% in più entro il 2050. Proprio in tal senso, la soia si presta ottimamente per produrre proteine e olio. Inoltre sta venendo sempre più valorizzata anche dall’industria chimica ed energetica, come per esempio per la produzione di biocarburanti.
Negli Usa le produzioni sono arrivate ormai a 110 milioni di tons, usate per fare soprattutto farine e olio. Medesimi trend in Brasile, con poco meno di 95 milioni di tonnellate. Negli ultimi cinque anni il Brasile ha però superato gli Usa quanto a tonnelate di soia esportata, beneficiando delle rese assicurate da agricoltura di precisione, biotech e maggiori cure fitosanitarie.
 
Circa 60 milioni di tonnellate invece  per l’Argentina, che però processa ben il 70% delle produzioni per ottenere farine, olio e biodiesel. Inoltre l’Argentina consuma solo il 15% delle produzioni, destinando il restante 85% alle esportazioni. Specialmente le farine giocano la parte del leone, venendo esportate per circa il 90% della produzione totale. Prodotti, questi, che poi finiscono per esempio nei mangimi zootenici utilizzati in Europa.
Se l’Europa volesse divenire indipendente per la soia, dovrebbe infatti moltiplicare per venti le attuali produzioni, passando dai 600 mila ettari attualmente coltivati a ben 13,5 mio di ettari. Difficile quindi pensare che un Continente come quello europeo, che importa il 95% della soia di cui l’82% è ogm, possa rifiutarsi al confronto con le colture biotecnologiche, anche perché i costi delle filiere ogm free sarebbe altissimo.
 
Anche le superfici coltivate sono aumentate: raddoppiate in Brasile, +73% in Argentina e +16% in Usa, ove la competizione del mais è molto più forte che nei due Paesi sudamericani. Un incremento che invece si è fermato del tutto in Cina dopo che aver segnato un + 60% delle superfici fra gli Anni 80 e il 2005. Zero invece negli ultimi dieci anni. Non a caso è divenuta la prima importatrice di prodotto. Tanto da incidere anche sui prezzi delle borse merci mondiali.
 
Il trend argentino nelle rese ha fatto si che negli ultimi vent’anni nel Paese delle Pampas si sia passati da 20 a più di 30 q/ha. A tali risultati hanno contribuito, Funes ci tiene a sottolinearlo, le biotecnologie, la semina diretta e l’agricoltura di precisione.
 
Tranne che in alcuni momenti, ove la siccità ha causato cali nelle produzioni, negli ultimi anni si è avuto un eccesso di produzioni rispetto alla domanda, permettendo la ricostituzione di quegli stock che possono fungere da ammortizzatore in caso di nuove siccità, come pure possono calmierare i prezzi riducendone la volatilità. Il 2015 è stato un anno record, infatti. Ma per il 2016 non si prevede di bissare il successo. Gli stock accumulati quest’anno potrebbero divenire quindi preziosi già l’anno prossimo.
 
E parlando di vile pecunia, proprio a causa della siccità il prezzo della soia ha toccato un primo picco nel 2008, con oltre 550 $/Ton, e poi nel 2012 con oltre 600 $. Oggi il prezzo è andato calando fino a poco più di 300 $ grazie proprio alle sostanziose crescite delle produzioni.
 
Nel prossimo futuro si prevede un ulteriore aumento delle estensioni e delle produzioni, sebbene vi sia d conteggiare anche il calo nella crescita della Cina. Il tutto con prezzi stabili, così come gli stock. Il Brasile ha più terra da mettere a coltura, quindi si aspetta sia il Paese con la maggior crescita.

Una considerazione finale la meritano i mutati indirizzi alimentari dei Paesi attualmente coltivatori di soia. La loro crescita dei consumi di carne si prevede immobilizzerà parte delle produzioni nei Paesi stessi, riducendo la disponibilità per le esportazioni.
In altre parole, potremmo avere meno soia con la quale nutrire le nostre "bistecche", perché è rimasta in Brasile a nutrire le loro. Con buona pace degli amanti delle bistecche e dei vegani...

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