Quale futuro dopo le quote latte? Una domanda alla quale è difficile rispondere, anche per la concomitanza di diverse incognite su scala mondiale. Ne ha parlato nei giorno scorsi l’Associazione mantovana allevatori, in un convegno particolarmente seguito e che ha visto la partecipazione di Angelo Rossi, fondatore di Clal, portale che monitora i mercati a livello internazionale.

I futuri possibili evidenziano, come detto, differenti driver che potrebbero influire in una direzione piuttosto che in altre. All’inizio del 2015 è circolata la voce, poi rivelatasi infondata, di una siccità in Nuova Zelanda. Certamente, in questo frangente, salvo ulteriori blocchi, peserà per l’Unione europea l’embargo russo, che ha fatto crollare le esportazioni verso Mosca, nonostante qualche tentativo di aggirare le barriere, servendosi della Bielorussia come hub per entrare nella Federazione Russa.

Altro elemento che influenzerà i mercati sarà il rapporto euro/dollaro, destinato a viaggiare verso un equilibrio sostanziale delle valute. Per l’Italia e l’eurozona questo potrebbe favorire le esportazioni, mentre l’export dagli Stati Uniti dovrebbe tirare il freno. La Cina, invece, che negli ultimi anni ha trascinato il mercato del latte grazie a importazioni in aumento, ha iniziato a rallentare la propria corsa. Con il Pil che ha “frenato” al +7%, il colosso cinese sta attuando una soluzione differente per fronteggiare il fabbisogno di latte: strutturando enormi stalle nelle aree più vocate del Paese, affiancate da stalle di piccole e medie dimensioni.

La produzione europea, secondo Clal, nei prossimi sei mesi dovrebbe crescere dell’1,9% rispetto allo stesso periodo del 2014. Una crescita non esagerata, tenuto conto che il regime delle quote latte è finito lo scorso 31 marzo.
Nel mese di gennaio, l’Ue-28 ha rallentato la propria produzione lattiera: -0,7%, forse nel timore di splafonare dalle quote nazionali assegnate e con l’obiettivo di sostenere i prezzi, che rispetto a 12 mesi fa hanno registrato un crollo superiore al 20 per cento.

Osservando nel dettaglio i cali di produzione dei principali Paesi dell’Unione europea, spicca il -14,9% della produzione lattiera irlandese a gennaio 2015 su base tendenziale. Per Olanda, Germania e Francia la tendenza registrata lo scorso gennaio è stata rispettivamente del -2,1%, -1,4% e –1,7 per cento.
Il resto del mondo, invece, rispetto allo stesso periodo del 2014 (gennaio o febbraio), sta producendo più latte: dalla Nuova Zelanda (+0,3%) all’Australia (+6,4%), agli Stati Uniti (+1,7 per cento).
Leader del mercato comunitario lattiero caseario in termini di quote è la Germania (25%), seguita da Francia (11%), Olanda (10%) e Belgio (8 per cento). L’Italia si ferma al 4% dei volumi commercializzati.
Altro scenario, invece, su scala mondiale, dove la fetta più importante fra i Paesi europei è rappresentata dall’Olanda (20%), seguita da Francia (17%), Germania (16%), Irlanda e Polonia (8%). L’Italia scende al 3 per cento.

A condizionare il prezzo del latte alla stalla, in Europa, è il prezzo delle polveri. E l’Italia, che sebbene trasformi il 51% del proprio latte in formaggi Dop, ha un tasso di autoapprovvigionamento del latte pari al 70% del proprio fabbisogno, fattore che mette in stretta connessione le fluttuazioni mondiali con le quotazioni interne.

Se l’export dei formaggi italiani potrebbe ottenere performance migliori sia a volume che a valore, la novità del 2014 è rappresentata da un incremento del 27,4% delle esportazioni di latte confezionato, i cui principali mercati sono Malta, Cina, Albania e Libia.

Per l’Italia il 2015 senza le quote potrebbe sorridere, a patto che gli allevatori migliorino le performance aziendali e le produzioni delle grandi Dop (Grana Padano e Parmigiano-Reggiano) trovino un equilibrio, magari agevolate da una crescita delle esportazioni favorita dalla svalutazione dell’euro sul dollaro.