Prima non si poteva, oggi si può. Tutto merito del “Pacchetto Latte” con il quale la Commissione europea ha dato il via libera alla programmazione della produzione casearia per i grandi formaggi Dop, il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, l'Asiago. Prima che Bruxelles prendesse questa decisione, funzionale ad ammorbidire il passaggio dalle quote latte al libero mercato, avvenuta il 31 marzo, l'Antitrust vietava (e multava) queste strategie. Addio dunque alle quote latte, ma evviva le quote di produzione, destinate ad impedire eccessi produttivi che si traducono nel crollo del prezzo dei formaggi con le inevitabili conseguenze anche sul prezzo del latte. Un legame, questo fra prezzo del formaggio e quello del latte, che si fa assai stringente quando il caseificio è cooperativo, cosa che accade di frequente. La produzione di Grana Padano, ad esempio, è per il 60% di matrice cooperativa.

Le quote del Parmigiano
Ma come ottenere in pratica il controllo della produzione non è cosa semplice e ognuno sembra aver seguito una propria strategia, funzionale alle proprie “caratteristiche”. Prendiamo il caso del Parmigiano Reggiano, la cui area di produzione è limitata a poche province fra la destra del Po e la sinistra del Reno. Qui si è deciso di “resuscitare” le quote latte, affidando ai singoli allevatori il compito di tenere sotto controllo la quantità di latte da consegnare alla trasformazione. Se in una fase iniziale questa soluzione sembrava non raccogliere grandi consensi da parte dei produttori, negli ultimi giorni di marzo c'è stata una vera e propria “corsa” delle adesioni, che al 31 marzo avevano toccato il 98% degli allevatori del comprensorio di produzione. A convincere anche gli ultimi “indecisi” è stata con tutta probabilità la caduta dei prezzi del Parmigiano Reggiano, frutto amaro dei precedenti eccessi produttivi. “La vastissima adesione ottenuta, che va oltre ogni più rosea aspettativa di inizio 2015 – ha sottolineato il Consorzio del Parmigiano Reggiano commentando la piena riuscita della iniziativa – rappresenta pertanto una importantissima risposta “dalla base” alla crisi di prezzo già in atto da diversi mesi e che sta determinando una modulazione al ribasso delle quantità”.“In questo modo – continua una nota del Consorzionon solo raggiunge la piena operatività lo strumento di regolazione dell’offerta varato un anno e mezzo fa dall’Assemblea dei caseifici, ma per gli allevatori si genera un nuovo valore economico proprio nel momento in cui cessano le quote latte europee”.

I “Piani” del Grana Padano
Diversa la strategia adottata dal Grana Padano, che ha preferito scegliere la strada del “Piano produttivo”. La differenza, tengono ad evidenziare dal Consorzio del Grana Padano, è rilevante. Se le quote latte sono un freno alle aziende zootecniche, i piani produttivi si confrontano esclusivamente con i mercati e il loro rispetto riguarda i caseifici, non gli allevatori. Dunque non si interferisce sulle scelte produttive delle singole stalle, ma solo sulla quantità di latte da trasformare in Grana Padano e quella da destinare ad altri usi da parte dei caseifici. Pena costi crescenti a carico dei caseifici “indisciplinati”. Ai Piani produttivi il Grana Padano è già ricorso e i risultati parlano di incrementi produttivi del 2,5% all'anno, che viaggiano in parallelo con la crescita della dimensione media dei caseifici la cui produttività ha fatto un balzo in avanti del 51,6%.

Insieme ma divisi
Quote latte e Piani produttivi hanno dunque struttura diversa e non vanno confusi fra loro. Li accomuna però la finalità di allineare le produzioni alla capacità di assorbimento del mercato. L'efficienza dell'uno o dell'altro metodo non dovrebbe essere messa in discussione se non attraverso i risultati che consente di ottenere. Senza trasformarsi in un confronto di “campanile” che non serve a nessuno. Né ai caseifici né tantomeno agli allevatori.