Con un po' di ritardo rispetto a quanto preannunciato nel nostro precedente aggiornamento, il ricorso di undici imprese contro la revoca di 27 autorizzazioni di agrofarmaci contenenti fosetil alluminio, che per sintesi continuiamo a denominare “generico”, è stato respinto lo scorso 23 settembre scorso con sentenza n° 32407 del TAR del Lazio. Il corposo provvedimento di fatto promuove sia l'azione del Ministero dello Sviluppo Economico che quella del Ministero della Salute, rei, secondo i ricorrenti, di averli penalizzati rispettivamente nella gestione dell'arbitrato sull'accesso a due studi mancanti e per aver preso atto dell'incompletezza del dossier, con conseguente revoca dei prodotti. Per meglio comprendere la sentenza occorre fare qualche passo indietro.

 

Il settore degli agrofarmaci, come ad esempio quello dei biocidi e dei farmaci umani e veterinari, oltre ai consueti investimenti in ricerca e sviluppo, richiede ingenti risorse (milioni di euro) per la preparazione della documentazione che dovrà dimostrare alle autorità che dovranno autorizzarne la commercializzazione che il prodotto è sufficientemente efficace e non provoca effetti inaccettabili sull'uomo e l'ambiente. Gli interessi dei titolari della documentazione e quelli della libera concorrenza sono conciliati da un meccanismo simile a quello della tutela brevettuale, chiamato “protezione dei dati”.
La protezione dei dati funziona in modo molto semplice: durante il periodo di protezione dei dati di una sostanza attiva (normalmente 5 anni per le sostanze attive in revisione e 10 anni per quelle “nuove”) chiunque voglia immettere in commercio un prodotto contenente quel principio attivo dovrà o presentare l'intero dossier o, caso più comune, essere autorizzato dal detentore dei dati con apposita delega, chiamata correntemente lettera di accesso. Scaduto il periodo di protezione dei dati la lettera di accesso non è più necessaria, a patto che il produttore alternativo dimostri che la propria sostanza attiva è equivalente (cioè con la medesima purezza e analogo profilo di impurezze) a quella con cui sono stati condotti gli studi, in quanto molto spesso la presenza di impurezze “rilevanti” può cambiare drasticamente le proprietà tossicologiche e ambientali di una sostanza attiva. In molti casi, tra cui anche il fosetil alluminio, i produttori alternativi trovano conveniente investire nella ripetizione degli studi del dossier del principale notificante anzichè attendere la scadenza del periodo di protezione, anche perchè la normativa europea proibisce la ripetizione indiscriminata1 degli esperimenti sugli animali vertebrati, le cui spese possono, anzi devono, essere condivise con il proprietario originale del dossier.

Nei casi in cui il titolare dei dati e il richiedente non riescano a trovare un accordo sulla giusta compensazione per la concessione dell'accesso agli studi, la norma comunitaria (direttiva 91/414, recepita in Italia con il DL 194/1995) prevede che il corrispettivo venga identificato tramite procedura di conciliazione e che gli stati membri possano legiferare in merito, qualora la disciplina non sia regolamentata da norme più generali. Nel caso specifico il citato DL 194/1995 affidava al Ministero dell'Industria (ora dello Sviluppo economico), in concerto col Ministero della Sanità (ora Salute), l'emanazione di un apposito decreto, avvenuta con notevole ritardo nel 2007 (Decreto 8 febbraio 2007).
Il provvedimento, che tra l'altro non ci risulta essere mai stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, prevede un primo tentativo di conciliazione tra le parti con la mediazione dei due ministeri e l'ausilio di un rappresentante dell'Istituto Superiore di Sanità con funzioni di supporto tecnico. Se le parti non riescono a raggiungere un accordo, la cifra vincolante viene fissata dal Ministero dello Sviluppo Economico in accordo con il Ministero della Salute.

Tornando al ricorso bocciato dal TAR, la sentenza ha evidenziato il mancato rispetto da parte del ricorrente di alcuni passaggi formali previsti dal decreto, che hanno impedito il regolare svolgimento della procedura di conciliazione con conseguente incompletezza del dossier e relativa revoca delle autorizzazioni. Ora ai ricorrenti rimane il ricorso al Consiglio di Stato, ultimo grado di giudizio della giustizia amministrativa italiana.