La ricerca applicata al miglioramento e allo sviluppo dell'agricoltura in Campania si muove in linea con quelle che sono le più attuali linee di tendenza del settore e una rassegna di questo lavoro è visibile analizzando i progetti di ricerca finanziati dal Programma di Sviluppo Rurale - Campania 2014-2020 con la Misura 16.1.1, Azione 2 "Sostegno ai progetti operativi di innovazione".

 

I progetti, che spaziano dall'agricoltura 4.0 al buon utilizzo dell'innovazione varietale, passando per temi fondamentali come la tracciabilità mediante impronta geochimica e l'adattamento ai cambiamenti climatici, sono tutti strutturati e finalizzati al trasferimento dei risultati acquisiti e delle conoscenze verso un parterre di aziende ben più vasto di quello che ha preso direttamente parte alla fase sperimentale.

 

Ecco una rassegna di tre progetti, tutti uniti da un elevato tasso di innovazione.

 

Grease, il vitigno Greco verso un nuovo clima

Il progetto Grease - "Modelli sostenibili di coltivazione del vitigno Greco: efficienza d'uso delle risorse ed applicazione di indicatori della 'Footprint family'" ha al centro della sperimentazione l'Azienda vitivinicola irpina Feudi di San Gregorio.

L'obiettivo è quello di migliorare la qualità e la produttività della vigna in vista della produzione di un vino bianco importante, il Greco di Tufo Docg, le cui impronte caratteristiche sono i toni aromatici della frutta al naso e la freschezza e la sapidità al palato.

 

I partner scientifici del progetto sono l'Università degli Studi di Napoli Federico II, l'Università degli Studi della Campania Vanvitelli e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), con Veronica De Micco, docente di Botanica Ambientale e Applicata all'Ateneo napoletano, quale responsabile scientifico del progetto di ricerca.

 

Il miglioramento della produttività urge anche per scoraggiare l'abbandono della coltivazione da parte di piccoli imprenditori, che spesso coincide con la perdita di conoscenze sul territorio e sui metodi di coltivazione ad esso legato.

Il progetto Grease, che si inserisce in un contesto di viticoltura e innovazione, ha preso in considerazione le interconnessioni ed i processi che si realizzano tra suolo, pianta e atmosfera e ha analizzato quattro compartimenti fortemente interconnessi: suolo, pianta, clima e vino.

 

L'approccio di ricerca utilizzato è multidisciplinare: a livello spaziale e temporale. Grease si è occupato di analizzare le relazioni tra le diverse componenti del sistema suolo-pianta-atmosfera con analisi in vivo e con tecniche retrospettive, lungo una linea temporale. Il principio è stato capire il passato e analizzare il presente per prevedere i comportamenti futuri della pianta. Le analisi e le tecniche applicate vanno dalla scala microscopica a quella macroscopica, fino all'applicazione di tecniche di proximal e remote sensing.

 

L'innovazione è proprio far dialogare questi diversi livelli partendo dai meccanismi di funzionamento morfofisiologico del sistema pianta/ambiente per ottenere solide conoscenze sui cui basare l'interpretazione di segnali che possono essere catturati con le tecniche nuovissime di proximal e remote sensing.

 

Il progetto Grease interviene su un vigneto di Greco di proprietà dell'Azienda partner Feudi di San Gregorio, riconvertito alcuni anni fa al metodo di potatura di Simonit&Sirch. Questa tecnica prevede tagli orientati per favorire i flussi linfatici e riduce il danno meccanico e le resistenze al flusso. Nell'ambito del progetto è stata svolta un'attività per valutare l'effetto della conversione del metodo di potatura sull'uso delle risorse di un vigneto riconvertito. È stato trasferito al vigneto l'approccio della dendroecologia (dendroanatomia e dendroisotopi) che utilizza il legno come archivio di informazioni ecofisiologiche. Si parte dal concetto di capire come le piante hanno reagito in passato alla variazione dei fattori ambientali per valutare la plasticità nell'adattamento e ipotizzare come reagiranno ai futuri cambiamenti ambientali.

 

Nel fusto delle viti di Greco di Tufo sono stati fatti dei carotaggi per estrarre carote di legno e analizzare gli anelli di accrescimento del legno di vite. Analizzando infatti specifici tratti anatomici (con tecniche di microscopia e analisi d'immagine digitale) e isotopici all'interno delle cerchie di accrescimento del legno è possibile capire come il vigneto ha utilizzato l'acqua in passato e valutarne il grado di plasticità in risposta a variazioni della risorsa idrica.

 

La tecnica è stata utilizzata perché nel legno restano registrati tutti gli eventi che si verificano nel corso della vita della pianta. Quindi, il legno della vite diventa un archivio di informazioni che registra le modifiche alla tecnica agronomica viticola che si traducono in una variazione di efficienza d'uso delle risorse ed in particolare dell'acqua, che è un punto critico in ambiente mediterraneo.

 

Ad esempio, dimensione delle cellule del legno e caratteristiche delle pareti cellulari, insieme al rapporto isotopico tra carbonio 13 e 12, sono indicatori della disponibilità idrica durante la crescita. Elementi conduttori più piccoli e maggiore contenuto di C13 possono indicare che le viti sono cresciute in condizioni di stress idrico.

 

Attraverso l'applicazione di queste tecniche, Grease ha dimostrato che la razionalizzazione della potatura modifica l'uso della risorsa idrica, rendendo il sistema idraulico più efficiente in alcune situazioni. Tuttavia, in situazioni di forte stress idrico la razionalizzazione della potatura da sola è utile ma non è sufficiente a contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici attesi.

 

In una seconda attività di studio, invece, sono state impostate prove sperimentali basate su tre diverse gestioni del suolo, seminato, naturale e lavorato, e due forme di gestione della chioma (doppio guyot e doppio capovolto) con rilievi specifici, che includono: caratterizzazione pedoclimatica, vegetoproduttiva, fisiologica e idraulica, di uve e vini (prove di microvinificazione); valutazione di efficienza d'uso delle risorse, stato fitopatologico, indici della footprint family; modellizzazioni.

 

Nella fase iniziale del progetto è stata condotta una campagna di rilevamento con sensore Lidar montato su UAV per poter ricostruire la complessità geomorfologica dell'area di studio ed individuare, attraverso uno studio delle forme in ambiente Geographic Information System (Gis), un'area omogenea in termini di esposizione e pendenza dove collocare la prova sperimentale. In tale area è stata poi realizzata una campagna pedologica, con rilevamento geofisico a supporto dell'apertura dei profili di suolo, per valutare la variabilità spaziale del suolo e definire i plot di monitoraggio.

 

L'idea di fondo era ridurre al minimo gli effetti sulle tesi sperimentali e quindi sui confronti gestionali delle variabili ambientali (per esempio suolo, esposizione) che potevano influenzare le risposte colturali. Una volta definita l'area di studio "omogenea" per caratteristiche ambientali, sono stati definiti sei longplot su cui applicare tre trattamenti dei suoli e due diverse gestioni della chioma. In ogni plot sperimentale sono state installate delle sonde TDR a diversa profondità (dalla superficie fino a -65 centimetri) per monitorare il contenuto idrico, la temperatura e la conducibilità apparente del suolo. Le variabili meteo (esempi: temperatura, apporto pluviometrico, radiazione solare) sono state monitorate attraverso una stazione meteo Davis applicata al centro del campo. Le informazioni raccolte dal sistema di monitoraggio del clima e del suolo sono "normalmente" applicate nell'agricoltura di precisione o 4.0 per applicare modelli interpretativi del comportamento colturale.

 

Nel caso del progetto Grease, tali informazioni sono state utilizzate per poter applicare e calibrare un modello fisicamente basato capace di simulare le relazioni del sistema suolo-pianta-atmosfera (modello SWAP) e stimare il bilancio idrico. Il modello, applicato in ogni tesi sperimentale (sei plot), ha consentito di valutare lo stress idrico colturale nelle diverse fasi di sviluppo (Crop Water Stress Index, Cwsi) e di poter appurare che il mancato raggiungimento dei livelli qualitativi delle uve (standard od ultra) si realizza quando in fase di invaiatura tale stress risulta superiore al 20%. Informazione gestionale molto importante, utilizzabile per poter ottimizzare la gestione della vigna per il raggiungimento dell'obiettivo enologico attraverso la pratica dell'irrigazione di supporto alla qualità.

 

Va ricordato che le informazioni raccolte dalla rete di sensori se non messe a sistema in un processo di valutazione collaudato possono portare ad informazioni fuorvianti dalla realtà. Nel caso di Grease, la grande mole di dati rilevati in situ (su pianta, da drone ed altro) ha consentito di dare vita a tali informazioni e di poter comprendere il modo migliore per il loro utilizzo. I dati raccolti in campo durante i tre anni dal monitoraggio del sistema suolo-pianta-atmosfera hanno consentito di calibrare e validare il modello SWAP e determinare l'andamento per ogni annata dello stress colturale attraverso l'indice Cwsi.

 

Tale informazione, incrociata con le rese quantitative e qualitative, ha dimostrato che condizioni di stress superiori al 20% durante la fase di invaiatura (Cwsi, definito dal rapporto traspirativo reale e potenziale) determinano concentrazioni zuccherine (°Brix) inferiori a 20, determinando uve con caratteristiche qualitative al limite dello standard, ma certamente non ultra.

 

Il vantaggio dell'applicazione modellistica risiede nella possibilità di poter utilizzare tale nuova conoscenza sul Greco per fare valutazioni d'impatto del cambiamento climatico e valutare di quanto aumenterà il rischio di stress idrico non funzionale al raggiungimento dell'obiettivo enologico aziendale. In tal senso, il modello calibrato è stato applicato in condizioni di cambio climatico considerando lo scenario di riferimento (1971-2005) ed il futuro fino a fine secolo, utilizzando tanto uno scenario RCP 4.5 (uno senario intermedio che prevede alcune iniziative di mitigazione) quanto quello RCP 8.5 (che indica cosa avverrebbe senza nessuna iniziativa di mitigazione).

 

L'analisi ha dimostrato un aumento medio tra il 5 e il 10% delle condizioni di stress idrico durante la fase di invaiatura, che ha come effetto un atteso peggioramento della qualità delle uve. Allo stesso tempo lo studio definisce chiaramente la soluzione: un'irrigazione controllata di supporto al raggiungimento delle caratteristiche qualitative standard ed ultra. A quest'analisi si è affiancata quella dello studio della variazione attesa dei regimi termici che dimostra come l'incremento medio atteso delle temperature creerà nell'area del Greco di Tufo condizioni termiche migliori (che gioveranno anche alla qualità dell'uva), ma che al tempo stesso nascondono il maggior rischio di eventi termici estremi non controllabili attraverso le pratiche gestionali.

 

Per quel che riguarda la gestione corretta dell'irrigazione del vigneto per il raggiungimento dell'obiettivo enologico, parte del gruppo di ricerca coinvolto in Grease è attualmente coinvolto nel progetto Agritech per testare e definire procedure di gestione in Campania su Aglianico presso l'Azienda Tenuta Donna Elvira (Montemiletto - Avellino, Area Docg Taurasi).

 

Nei sei trattamenti in cui sono stati combinati la gestione del suolo (inerbimento naturale, prato spontaneo e lavorato) e della chioma (doppio guyot e doppio capovolto) sono state ottenute uve simili dal punto di vista qualitativo, con qualità dipendente principalmente dal bilancio idrico. Si è osservata una variabilità nel contenuto di molecole che difendono i mosti dall'ossidazione, dipendente fortemente dall'annata, e ancora una volta collegato al bilancio idrico. I trattamenti hanno influenzato il profilo sensoriale dei vini, evidenziando sfumature differenti dell'identità varietale del Greco.

 

Per tutti i parametri misurati alle varie scale (dal microscopico al proximal) gli effetti della gestione del suolo sono stati più evidenti rispetto alla gestione della chioma. In tutti i casi sono stati ottenuti vini che hanno mantenuto l'identità del Greco. La scelta della gestione del suolo non può prescindere dagli effetti positivi che alcune di queste - come l'inerbimento - possono avere sulle proprietà chimico-fisiche e strutturali del terreno, che verosimilmente si registreranno nel medio periodo in termini di lotta a erosione e compattamento. Inoltre, bisogna considerare che i tre anni di durata del progetto sono stati un periodo troppo breve per le modifiche dell'architettura radicale in suoli prima eccessivamente perturbati dalle lavorazioni e per il riequilibrio di parametri del suolo come il rapporto carbonio-azoto.

 

Eventuali variazioni nella produzione in termini di quantità e qualità delle uve sono emerse per l'esigenza specifica del progetto di annullare l'interferenza di altri fattori che non fossero quelli impostati con i trattamenti. Per questo i plot sperimentali corrispondenti ai sei trattamenti sono stati tutti gestiti allo stesso modo. Ciò significa che una differente gestione di tutti gli altri fattori colturali che diventi specifica per ciascuna tipologia di trattamento potrebbe portare al raggiungimento di specifici obiettivi enologici. Ad esempio, una differente gestione della concimazione nel caso dei trattamenti con inerbimento dell'interfila potrebbe ridurre eventuali fenomeni di competizione per i nutrienti in alcune fasi fenologiche. Ma questo apre la strada a future sperimentazioni.

 

Granatum, una melagrana in cerca di mercato

Aziende frutticole in crisi nella pur ridente Campania felix? Una realtà dura, che può essere affrontata con una riconversione produttiva, senza tradire la vocazione frutticola del territorio. Almeno stando ai primi risultati del progetto Granatum, proposto dall'Azienda Agricola Sperimentale Regionale Improsta - Craa in collaborazione con Università degli Studi della Campania Vanvitelli, Università degli Studi del Sannio (Unisannio), Crea Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura (Crea Ofa) di Caserta, Arca 2010 e Azienda Agricola Perreca Raffaele, che ha visto quale responsabile tecnico scientifico Antonio Fiorentino, docente ordinario di Chimica Organica al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Biologiche e Farmaceutiche dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

 

Svoltare è possibile puntando su cultivar innovative di melograno convenientemente allevate - ad elevato contenuto di polifenoli - e per i cui frutti i consumatori sono disposti a pagare al momento anche il 25% in più rispetto alle melagrane convenzionali, cogliendo le opportunità offerte dal mercato della melagrana, frutto blasonato perché il melograno è uno dei primi alberi da frutto ad essere stato addomesticato dall'uomo - almeno 5mila anni fa - e l'eco delle tradizioni del passato legate alle sue proprietà curative perviene ancora oggi tra i consumatori. Anche se, per ora, il margine lordo di questa coltivazione resta inferiore a quello delle colture da frutta che potrebbe sostituire.

 

Uno dei primi obiettivi del progetto è stato quello di confrontare, dal punto di vista agronomico, biochimico e nutraceutico, la produzione dei frutti di melograno di specifiche cultivar sottoposte a diverse forme di allevamento. A tale scopo, nell'Azienda Agricola Sperimentale Regionale Improsta - Craa è stata seguita ed analizzata la produzione del campo di confronto sperimentale della cultivar Acco, allevata utilizzando cinque forme di allevamento: palmetta, palmetta orizzontale, Y trasverso, Y, vaso.

 

Nelle particolari condizioni pedoclimatiche del campo sperimentale - l'Azienda Improsta si trova ad Eboli nella Piana del fiume Sele - il confronto tra le diverse forme di allevamento ha permesso di evidenziare che è la palmetta quella che consente di ottenere delle produzioni di melagrane ad ettaro più elevate e con buona resa dei parametri qualitativi.

 

Parallelamente, nell'Azienda Agricola Perreca Raffaele, grazie al supporto tecnico di Arca 2010 e del Crea Ofa, è stato allestito un campo dimostrativo (impiantato nel 2021) con le cultivar Acco, Wonderful, Dente di cavallo, Annaba e ER, allevate a Y e a vaso, sul quale sono stati effettuati i primi rilievi dei parametri morfometrici e qualitativi dei frutti che hanno mostrato già nel primo anno di produzione differenze sia tra le diverse cultivar ma anche, in alcuni casi, tra le due forme di allevamento testate.

 

Un aspetto interessante del progetto è stato quello di valutare alcune proprietà biologiche dei frutti di particolare interesse ed emergenza per la salute umana: la loro capacità antimutagena, antigenotossica, estrogeno mimetica e chemiopreventiva.

 

I succhi di melagrana della cultivar Acco, valutati per il loro potere antimutageno nei confronti di ceppi di Salmonella typhimurium TA98 e TA100 e per l'attività antigenotossica mediante Umu-test su S. typhimurium, sono stati capaci a tutte le concentrazioni saggiate di indurre una diminuzione del potere mutageno e tra questi i campioni che hanno mostrato un potere antimutageno forte sono stati quelli coltivati nella forma a Y e Y trasverso.

 

Tutti gli estratti, inoltre, hanno indotto una diminuzione significativa del potere genotossico con valori simili nelle diverse forme di allevamento, mentre i succhi di melagrana provenienti dalle forme di allevamento a palmetta orizzontale e vaso hanno mostrano una promettente attività chemiopreventiva, su una linea cellulare tumorale del colon-retto.

 

Lo studio della composizione chimica dei succhi di melograno è stato una fase fondamentale per l'interpretazione dei parametri qualitativi e delle proprietà biologiche dei frutti appartenenti alle varie cultivar e alle forme di allevamento testate. La Risonanza Magnetica Nucleare (Nmr) mono e bidimensionale ha permesso di evidenziare la presenta di differenti polifenoli come il 2-feniletil rutinoside, derivati degli acidi cinnamici, oltre a polifenoli glicosilati, con una predominanza di questi composti nelle forme di allevamento Y trasverso e palmetta orizzontale.

 

L'analisi degli spettri protonici ha consentito inoltre di identificare la malvidina glicosilata, una antocianina che possiede un'elevata capacità antiossidante e antiradicalica.

 

Le cultivar del progetto sono state anche sottoposte a caratterizzazione molecolare utilizzando otto coppie di primer per marcatori SSR, distribuiti su tutto il genoma, che hanno consentito di evidenziare un'ampia variabilità genetica.

 

La valutazione della sostenibilità economica è stata realizzata confrontando il margine lordo (ML) per ettaro delle coltivazioni di melograno italiane con quello delle coltivazioni che potenzialmente potrebbero essere riconvertite (pesco, albicocco e ciliegio). L'analisi condotta ha contemplato un arco temporale abbastanza ampio (dal 2017 al 2021), ponendo in evidenza che tutte le colture da riconvertire presentano in media un ML superiore rispetto a quello del melograno. Il divario in termini economici è superiore al 20% per tutte le colture, con una maggiore incidenza per il ciliegio (75% superiore al melograno), seguito dal pesco (31%) e dall'albicocco (22%).

 

Tuttavia, l'analisi delle preferenze del consumatore, realizzata attraverso un questionario somministrato online ad un campione rappresentativo di circa 3mila individui, ha evidenziato che il prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare per una melagrana caratterizzata da un maggior contenuto di antiossidanti risulta più elevato, di circa il 25%, rispetto al prezzo medio delle melagrane convenzionali.

 

Apparentemente tale prospettiva appare scoraggiante, ma l'analisi delle preferenze del consumatore ha appurato - per esempio - che tra i consumatori abituali la preferenza verso una melagrana a più elevati contenuti di antiossidanti spinge il prezzo massimo del frutto oltre il 31% al di sopra del prezzo medio delle melagrane convenzionali. Una tendenza che, se ulteriormente sviluppata, potrebbe portare la coltivazione della melagrana a più elevato contenuto di antiossidanti a un margine lordo superiore a quello delle colture da sostituire.

 

Tomato Trace 4.0, rilevare l'impronta della terra nel Pomodorino Dop

Il progetto Tomato Trace 4.0 - "Metodi avanzati per la tracciabilità geografica ed il miglioramento della qualità del Pomodorino Piennolo del Vesuvio Dop" è stato condotto dal Centro Interdipartimentale di Ricerca "Raffele d'Ambrosio" Lupt dell'Università degli Studi di Napoli Federico II in collaborazione con Agroqualità, l'ente di certificazione del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop, il Consorzio di Tutela del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop, il Consorzio per l'Innovazione Tecnologica Dintec e l'Azienda Agricola Sapori Vesuviani di Pasquale Imperato. Con Paola Adamo, docente di Chimica Agraria al Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, nel ruolo di responsabile tecnico scientifico del progetto.

 

La denominazione Pomodorino del Piennolo del Vesuvio fa riferimento a varietà locali di pomodoro coltivate nella Regione Campania alle pendici del complesso vulcanico Somma-Vesuvio, a cui nel 2009 è stato attribuito il marchio di tutela giuridica Dop, Denominazione d'Origine Protetta. Questo prodotto tipico viene venduto assemblato a mano in "piennoli", ed è caratterizzato da una lunga conservabilità. Inoltre, la coltivazione consente agli "agricoltori custodi" locali di preservare la tradizionale gestione colturale e la biodiversità dell'area vesuviana.

 

Le proprietà organolettiche del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop sono legate alle peculiari condizioni pedoclimatiche dell'ambiente di coltivazione, che conferiscono al pomodoro un'elevata tipicità. Da questo l'alto valore commerciale del prodotto, che lo rende suscettibile alle frodi d'origine. Il progetto Tomato Trace 4.0 mira invece ad autenticare, tracciare e valorizzare il "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop", rafforzandone il sistema di tracciabilità.

 

Un modo per raggiungere questo obiettivo è quello di legare il pomodorino alle caratteristiche del territorio di coltivazione, in particolare attraverso la definizione della composizione multielementare (o impronta geochimica) del suolo di coltivazione e del pomodoro. Tale approccio ipotizza che la composizione in elementi minerali dei frutti dipenda principalmente dalla biodisponibilità degli stessi elementi nel suolo e da altri fattori dell'ambiente di coltivazione, come il clima e la gestione colturale.

 

Uno dei principali scopi del progetto è stato appunto quello di indagare uno specifico profilo o fingerprinting multielementare in grado di discriminare i suoli di coltivazione e i pomodori derivanti da aziende ubicate in area Dop, da suoli e pomodori provenienti da aziende agricole fuori area Dop.

 

In quest'ottica, le indagini sono state condotte in più stagioni di coltivazione (2021, 2022) per ottenere un set di dati affidabili per le discriminazioni di provenienza. È stato misurato il contenuto di diciannove elementi (Ca, Cu, Fe, Mg, Mn, Mo, Na, Ni, P, K, Zn, Ba, Cd, Co, Cr, Cs, Li, Rb e Sr) in campioni di Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop (diverse varietà) provenienti da aziende Dop e da aziende poste al di fuori dell'areale Dop. Gli stessi elementi sono stati determinati nelle frazioni potenzialmente e prontamente biodisponibili del suolo di coltivazione.

 

In ogni annata colturale, l'analisi statistica multivariata a scopo esplorativo (Analisi delle Componenti Principali, Pca) del profilo multielementare di suoli e pomodori ha evidenziato raggruppamenti naturali dei campioni in base alle aziende di provenienza a discapito delle diverse varietà locali. Ciò suggerisce che siano state soprattutto le caratteristiche degli ambienti di coltivazione (suolo, clima, gestione agronomica) ad aver influenzato la composizione elementare dei pomodori, mentre il profilo elementare non dipende altrettanto fortemente dalle diverse varietà locali.

 

Inoltre, le quantità degli elementi analizzati nei pomodori sono risultate significativamente correlate con le quantità potenzialmente e prontamente disponibili degli stessi elementi estratti dai suoli di coltivazione, rafforzando la potenza delle analisi multispettrali nel tracciare la provenienza geografica dei pomodori studiati. Difatti, il rilevamento dell'impronta geochimica o multielementare è una delle tecniche più utilizzate per discriminare l'area geografica di origine degli alimenti. Esso sfrutta il fatto che gli elementi minerali possono essere trasferiti dal suolo ai prodotti agricoli e quindi qualsiasi differenza nella distribuzione degli elementi tra i suoli di diverse regioni geografiche si riflette nei prodotti agricoli.

 

Sulla base delle promettenti indicazioni fornite dall'analisi esplorativa (Pca) a tutto il set di dati, suddiviso in set di calibrazione e validazione (70-30%), è stata applicata l'Analisi Discriminante Lineare a passi (S-ADL), che ha distinto con un'accuratezza del 100% i campioni di pomodoro coltivati in area Dop da quelli coltivati fuori area Dop.

 

Nei tre anni di durata del progetto i modelli discriminanti sono stati resi sempre più robusti incrementando il numero di aziende Dop e no Dop di cui si sono analizzati suolo e pomodori e indagando l'effetto delle differenze climatiche tra anni diversi sull'impronta geochimica del pomodoro. Sulla base dei risultati ottenuti, il profilo multielementare o fingerprinting geochimico del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio può essere considerato uno strumento utile per proteggere le produzioni Dop dalle frodi di origine.

 

Nell'ambito del progetto si è anche applicata la spettroscopia NIR al frutto intero di Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop, con l'obiettivo di costruire modelli di regressione utili a stimare le principali proprietà qualitative del Pomodorino, come residuo secco, contenuto totale di solidi solubili (°Brix), acidità titolabile (TA) e colore della buccia (L*, a*, b*).

 

In diverse annate di coltivazione sono stati raccolti campioni di Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop da aziende agricole, scelte come rappresentative dell'ampia gamma di condizioni ambientali dell'area Dop. I dati degli spettri acquisiti (due spettri per pomodoro) sono stati sottoposti a modelli di regressione, separatamente per ciascuna proprietà di qualità, e convalidati mediante un metodo di convalida incrociata completa. L'efficienza di ciascun modello è stata valutata mediante coefficiente di correlazione di calibrazione (R2), errore standard di previsione (SEPCV), deviazione percentuale relativa (RPD) e coefficiente di variazione (CV%, SEPCV/valore medio misurato).

 

Le prestazioni di ciascun modello ottimizzato con strumenti chemiometrici hanno mostrato risultati utili per lo screening non distruttivo della qualità del prodotto, riportando percentuali d'errore sulla predizione dal 5,2% per l'acidità titolabile (TA) al 1,9% per uno dei componenti cromatici della buccia (L*).

 

Ulteriori studi sono in corso per aumentare la robustezza dei modelli, aggiungendo nuovi campioni per omogeneizzare la distribuzione delle proprietà di qualità negli intervalli attualmente scarsamente rappresentati. Inoltre, campioni provenienti da anni e aziende agricole diverse potrebbero essere utili per verificare la robustezza stagionale e spaziale dei modelli.

 

Sulla base dei risultati ottenuti nel progetto e raccolti nel manuale operativo prodotto, imprese agricole e Consorzio di tutela potrebbero:

  • pianificare analisi multielemento di campioni di pomodoro prodotto annualmente in diverse aziende dell'areale Dop con cui costruire un modello discriminante aggiornato utilizzabile per verifiche di origine del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop;
  • effettuare controlli veloci, economici e non distruttivi della qualità dei pomodori prodotti mediante impiego della spettroscopia NIR. Tale impiego dei risultati del progetto consentirebbe l'implementazione pluriennale sia dei modelli discriminanti l'origine geografica, sia dei modelli di regressione ottenuti dall'impiego della spettroscopia NIR.

 

Tutte le attività analitiche sono state condotte con il supporto delle facility dell'Infrastruttura di Ricerca Metrofood-IT, di cui l'Università degli Studi di Napoli Federico II è partner, e finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) Missione 4 "Educazione e Ricerca" - Componente 2: dalla ricerca al business, Investimento 3.1: "Fondo per la realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione", Azione 3.1.1 "Creazione di nuove IR o potenziamento di quelle esistenti che concorrono agli obiettivi di Eccellenza Scientifica di Horizon Europe e costituzione di reti".

 

Inoltre, la tutela e valorizzazione del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop attraverso lo sviluppo di modelli di tracciabilità e rintracciabilità basati su analisi spettroscopiche e multielementari è oggetto del progetto di dottorato finanziato dalla stessa Infrastruttura di Ricerca.

 

Per saperne di più

Un approfondimento sui progetti di innovazione in Campania è stato realizzato grazie al podcast "Coltiviamo innovazione", curato dalla giornalista Barbara Righini, che nel secondo episodio ha ospitato il professore Alex Giordano dell'Università di Napoli Federico II, Laboratorio Rural Hack.

 

Ascolta l'intervento di Alex Giordano, professore Università Federico II di Napoli.
Puoi trovare tutti i podcast della playlist "Coltiviamo innovazione" in questa pagina


Il logo del progetto CAP4AgroInnovation

 

CAP4AgroInnovation è il nuovo progetto di Image Line®, cofinanziato dall'Unione Europea, dedicato all'innovazione in agricoltura e alle opportunità offerte dalla Pac.

Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito

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